Da bambini vogliono fare i pompieri, i calciatori o gli astronauti: mai uno che desideri diventare baby-sitter o casalingo, pochissimi il maestro o l’assistente sociale. Così, al contrario delle donne che un po’ alla volta sono entrate in tutte le professioni "maschili" (quanto ad arrivarne ai vertici, è un’altra storia...), gli uomini stanno ancora ben alla larga da quelle "femminili". E mentre si parla insistentemente di "quote rosa" per promuovere la presenza delle donne nei settori della vita pubblica in cui ancora non c’è equità di genere, cosa succederebbe se un giorno, all’improvviso, gli uomini reclamassero le "quote azzurre" per spezzare il monocolore rosa delle insegnanti, delle infermiere, delle assistenti sociali, delle baby sitter, delle domestiche e delle badanti? Una domanda perlomeno paradossale, almeno secondo i risultati delle analisi di sociologi e psicologi pubblicati nel libro
Trasformazioni del lavoro nella contemporaneità, gli uomini nei lavori “non maschili” (pagine 192, euro 24) curato per Franco Angeli da Margherita Sabrina Perra ed Elisabetta Ruspini, sociologhe rispettivamente all’Università di Cagliari e a Milano-Bicocca. «Niente paura – avvisa subito Ruspini – nel breve periodo non si prevedono assalti alla diligenza del “lavoro femminilizzato”»: se negli anni è rimasto tenacemente "rosa" è proprio perché non si tratta di impieghi di prestigio né con impressionanti sbocchi di carriera e dunque poco appetibili per molti uomini... Però, si documenta nel saggio, qualcosa sta cambiando, complice da una parte la trasformazione dell’idea atavica di mascolinità e il (parziale) superamento degli stereotipi e dall’altra la crisi economica, che ha falciato posti di lavoro in settori tradizionalmente maschili (ad esempio le fabbriche), lasciando invece sbocchi nel settore dei servizi alla persona. Così anche in Italia sta crescendo il numero degli assistenti sociali di sesso maschile, di maestri e professori, di badanti (in questo caso soprattutto stranieri) e, fenomeno emergente, dei baby sitter, anche nella forma più qualificata, importata dall’estero, di
male tutor. «Una trasformazione lenta – commenta Ruspini –; del resto le donne hanno alle spalle almeno 150 anni di importanti cambiamenti, mentre gli uomini riflettono su se stessi e sulla propria identità da pochi decenni. Il giorno in cui gli uomini si pensassero adatti a erogare lavoro di cura, ciò libererebbe le donne da molti compiti che avvertono come obblighi. Si andrebbe nella direzione di una maggiore equità, ad esempio anche nel rapportarsi alla paternità e alla maternità».In attesa di cambiamenti più marcati, per ora autori e autrici del saggio registrano alcune tendenze: se le assistenti sociali in Italia sono a oggi il 90 per cento donne, con l’obbligo della laurea breve e con il conseguente accesso a posizioni manageriali gli iscritti maschi ai corsi di laurea triennali sono in aumento, anche se di poco, raggiungendo quota 9,4%. Il cambiamento è un po’ più marcato nei lavori a bassa qualificazione. Una professione per tutti: il badante. Tra i collaboratori familiari stranieri registrati all’Inps, il 12 per cento è costituito da uomini, avanguardie che hanno spezzato nel giro di pochi anni il monopolio femminile in questo settore. Ma non è stato un passaggio indolore: gli uomini, testimonia il libro di Franco Angeli attraverso interviste in profondità, non si sentono del tutto adeguati al ruolo, anche perché spesso vengono da società tradizionali in cui sono solo le donne ad accudire casa e figli. La "strategia", per molti, è rivendicare la propria differenza: «Il lavoro come domestico è proprio un lavoro da femmine – racconta l’ecuadoregno Juan –. Però ci sono cose che le donne non fanno: gli uomini possono pulire la ringhiera, verniciare il termosifone, riparare la luce». Gli uomini, insomma, all’interno di quel perimetro rosa costituito dal lavoro domestico, vogliono affermare la propria identità maschile e di conseguenza sottolineano l’atteggiamento professionale e in generale più distaccato con i datori rispetto alle colleghe donne. Un meccanismo tipicamente maschile, come spiega lo psicologo Marco Inghilleri (uomo in mezzo all’84% di colleghe donne...): se “lui” sceglie consapevolmente una professione “rosa”, la “personalizza”, anzi la “mascolinizza”. Lo si nota anche nella nuova leva dei baby sitter e casalinghi italiani: se la maggior parte di loro rientra nella categoria dei "rassegnati" (titolo di studio medio-alto ma nessuna occupazione, quindi costretti ad accettare un lavoro “da femmina”), come li classifica nel libro la sociologa barese Letizia Carrera, che ha indagato soprattutto nella sua regione, la Puglia, numerosi dichiarano di aver scelto la propria professione e di voler lottare contro i luoghi comuni che vogliono gli uomini incapaci di occuparsi di bambini e della casa.Questa è la categoria degli “innovatori”. «Non avrei mai pensato che sarei stato un casalingo d’assalto – racconta un 35enne laureato, sposato con una avvocatessa, un figlio –. Ho detto perché no? In fondo c’è la parità, no?». E un altro: «Sono convinto che il mondo stia cambiando e che debba cambiare ancora di più!. Io questa storia degli uomini e delle donne così schiacciati su cose differenti non l’ho mai accettata davvero». Un terzo riflette: «È ancora molto difficile dire: faccio il casalingo. La gente ti guarda strano, poi ride pensando che hai fatto una battuta (...) C’è molto da fare perché bisogna cambiare la testa delle persone». È dunque tempo di «quote azzurre»?