Si intitola «Il cuore di Milano, Identità e storia di una capitale morale» il volume a cura di Danilo Zardin realizzato dalla Fondazione per la sussidiarietà, che esce il 23 maggio da Rizzoli. Il libro raccoglie vari contributi (fra cui Edoardo Bressan, Alessandro Rovetta, Maria Bocci, Aldo Carera, Alessandro Colombo, Daniele Bardelli) e viene presentato lunedì 21 alle ore 11 alla Biblioteca Ambrosiana da Sandrina Bandera, monsignor Franco Buzzi, Franco Loi. Qui anticipiamo ampi brani della prefazione di Lorenzo Ornaghi (nella foto), ministro per i Beni e le Attività Culturali.Non è sempre facile stabilire che cosa ci sia di assolutamente unico e speciale nelle circostanze che hanno reso Milano quello che ora è. Occorrerebbe conoscere altrettanto a fondo la storia delle altre «patrie» e dei mille campanili che, dialogando e anche rivaleggiando a volte duramente tra di loro, hanno concorso a formare il tessuto multicolore della nostra Italia unita. Milano è sempre stata un polo di attrazione di gruppi e forze sociali, così da amalgamarli in un comune destino, proiettato alla realizzazione di scopi fondati su una sintesi (anche se, nelle differenti stagioni storiche, non sempre pacifica e immediatamente armoniosa) di identità in origine estranee, di una pluriformità dialettica e nello stesso tempo aperta a esiti di conciliazione feconda e produttiva. La milanesità è appunto il risultato di questo complesso processo di assimilazione, in un corpo unitario, di una molteplicità di elementi capaci di contaminarsi e integrarsi reciprocamente. L’innesto di Milano nella storia del mondo europeo è stato filtrato da ininterrotti aggiustamenti e correzioni, in cui le élites dei ceti dirigenti cittadini, una volta costituite, hanno dovuto fare i conti con sempre nuove realtà che premevano per imporre il loro peso, i loro interessi, le loro strategie. La vicenda storica di Milano – sempre più centro costitutivo dell’Europa – giunge fino agli esiti, più vicini a noi, degli opposti orientamenti ideologici e politici, destinati a misurarsi in una lunga concorrenza e a competere per il governo politico complessivo della società, interagendo con le diverse anime (commerciali, industriali, finanziarie, intellettuali) da cui è stato trainato il decollo della grande città moderna e contemporanea.Il gigantesco boom della metropoli – quando, dalla metà dell’Ottocento in poi, ha cominciato a straripare al di là dell’antico circuito delle mura spagnole in cui era sin lì rimasta quasi totalmente rinchiusa – non sarebbe stato possibile senza l’arrivo e il non facile radicamento di forestieri provenienti dai borghi e dalle città minori circostanti e, più tardi, dalle regioni economicamente meno favorite di tutta la penisola, in particolare dall’area veneta e meridionale. Così come, ancora oggi, la trasformazione in città “postmoderna” dei servizi e del terziario avanzato si collega all’ingresso di stranieri che, provenendo anche da Paesi molto lontani, contribuiscono a infittire quel meticciato di usi e culture, nel cui labirinto si riversa l’apertura planetaria della circolazione degli uomini e delle reti della società dominata dal modello occidentale.In secondo luogo, accostandosi alla vicenda di Milano, si comprende come lo sviluppo di cui essa è stata potente animatrice non sia scaturito unicamente dalla forza aggressiva delle rivendicazioni dei gruppi sociali, dei ceti e delle istituzioni. Nella storia di Milano, con ben maggiore evidenza di altre comunità e sintesi territoriali, si vede che il progresso autentico, per farsi stabile e duraturo, deve tendere a darsi un ordine, un equilibrio interno; deve essere «incivilimento ». Il bene comune non può che trarre vantaggio dalla possibilità di diventare un bene eticamente indirizzato, nutrito dai canoni di una o più visioni ideali, rispettoso, non solo per enunciazione astratta di principio, delle convinzioni e dei diritti delle differenti forze costitutive della società. In questo senso, ancora una volta, colpisce il fatto che la milanesità non abbia mai amato le fughe avventurose verso il nuovo, l’esasperazione unilaterale dei conflitti, le illusioni di palingenesi rivoluzionarie. Invece, la comunità sociale di Milano riflette le proprie propensioni alla paziente costruzione del domani, la propria volontà di trattenere il meglio delle tradizioni preesistenti. Milano è piena di realismo e di senso pratico, spesso ardita e sperimentatrice, con al centro un patrimonio di idee e di aspirazioni fatto di acuta responsabilità civile, di tenace e operosa fede religiosa, di disponibilità ad accogliere i fermenti positivi di un ethos cittadino fecondato dall’invenzione settecentesca dei Lumi e dalle moderne progettualità politiche degli ultimi due secoli. Il progresso materiale si è mantenuto a lungo incardinato sul senso di appartenenza a una grande comunità di cui ci si riconosce figli. La lezione del passato consente di fendere le nebbie del presente. E di guardare senza eccessive inquietudini al futuro. Sfidata a pensare e attuare un diverso e più giusto modello di sviluppo, Milano ritrova le ragioni della propria leadership economica e culturale, insieme con la fiducia nella propria capacità di leadership morale, nel cuore stesso di tutta la sua storia, ossia nell’equilibrata coscienza di sé e delle responsabilità a cui è oggi chiamata.