Fumetti. «Così disegno un'altra Cambogia (contro la tratta)»
Una tavola disegnata da Takoua Ben Mohamed per il libro 'Un’altra via per la Cambogia' (BeccoGiallo)
«Mi sento così piccola, al pensiero di non conoscere cosa accade ogni giorno in questo remoto angolo di mondo chiamato Cambogia, nel centro del Sud-est asiatico. Mi sento inerme di fronte alle storie che lottano quotidianamente per poter sopravvivere… Provo a respirare, e cerco di lasciarmi alle spalle questa sensazione soffocante di inadeguatezza per concentrarmi ancora di più sui volti che ho di fronte: sembra gente comune. Che potresti incontrare ogni giorno per strada, eppure dietro ciascun viso si nasconde una storia unica e speciale, forse come accade in fondo per ciascuno di noi…». Il racconto a colori che Takoua Ben Mohamed fa di quella che apparentemente è una meta turistica con paesaggi straordinari, è spezzato da pagine nere. Che hanno segnato la storia di questo Paese, fra dittature, genocidi, guerre, e che ancora oggi minano la vita della gente, senza poter contare su una vera ripresa economica e sociale. Per questo tantissimi cambogiani cercano fortuna nella vicina Thailandia, finendo spesso in mano a trafficanti senza scrupoli che li vendono come lavoratori a basso costo, senza alcun diritto, o nel caso di molte donne e ragazzine, come prostitute. Una realtà difficile che la 29enne artista italo-tunisina – anche lei emigrata dalla propria terra e approdata, bambina, a Roma con la mamma e i suoi sei fratelli (poi diventati otto) per raggiungere il papà in asilo politico – affronta con il suo stile ironico ma profondo, nella graphic novel Un’altra via per la Cambogia (BeccoGiallo, pagine 160, euro 18,00): un misto fra “diario di bordo” a fumetti e reportage. Takoua ha accolto l’invito di WeWorld – l’organizzazione italiana che proprio lì, come in altri 26 Paesi, da 50 anni difende i diritti dei più deboli –, è arrivata a Siem Reap, ha incontrato gli operatori e i volontari (Alana, Diletta e Maria) del progetto europeo EU Aid Volunteers, ha parlato con le donne, gli uomini e i bambini che la struttura umanitaria cerca di sensibilizzare giorno dopo giorno sui pericoli dell’immigrazione illegale nel Paese asiatico. «Siamo ormai abituati a sentire storie di migrazioni verso l’Europa, come se tutti i movimenti globali si concentrassero ai nostri confini. Questa storia, diversa e sorprendente, narra un pezzo di mondo lontano da “casa” e dall’immaginario da cartolina che il marketing del tu-rismo ci rimanda di Thailandia e Cambogia», commenta Stefania Piccinelli, responsabile programmi internazionali di WeWorld che ha creduto nel potere comunicativo del fumetto per arrivare al cuore delle persone.
«Sono temi che sento molto vicini – riprende la graphic journalist, autrice anche dei fumetti Sotto il velo e La rivoluzione dei gelsomini, produttrice nel 2019 del docufilm Hejab Style per Al-Jazeera Documentary Channel –: io stessa sono immigrata a otto anni, anche se allora non sapevo nemmeno di esserlo, e pur nelle differenze, in Cambogia ho trovato tante similitudini con il mio vissuto e con la mia infanzia in Tunisia». Già, la Tunisia. Quella terra in cui è riuscita a tornare dopo il movimento di proteste e di sommosse popolari che ha portato alla cacciata dell’ex presidente Ben Alì nel 2011, nel contesto della cosiddetta “primavera araba”. «Il Paese sta cambiando, ci vuole tempo – dice con orgoglio Takoua – ma se prima era impensabile per me poter tornare a ritrovare le mie origini, la mia famiglia, ora posso. Ho ripreso in mano il filo del mio passato, della mia storia. E se non so ancora dov’è la mia casa, se in Italia o lì, di certo non mi sento più in esilio».
Da quel 'ritorno' o forse un’'andata' è nato La rivoluzione di gelsomini (sempre con Becco-Giallo). Il fumetto come “arma” per esistere e difendere il diritto di espressione. «Sono sempre stata piuttosto solitaria, fin da bambina. E disegnavo sempre. Anche quando ci toglievano tutto, mia mamma non mi faceva mai mancare una matita. Andavo matta per i cartoni giapponesi che arrivavano in arabo. Questo mi è servito quando sono arrivata a Roma: dopo un mese ero già a scuola, non sapevo una parola di italiano e disegnare era il mio modo di farmi capire. Ho coltivato questa passione, ho fatto l’Accademia. Ed eccomi qui». Ora il suo tratto è chiaro e riconoscibile. Personale ma universale. Al servizio di storie che aiutano a leggere il mondo in maniera diversa e a scuotere le coscienze. «Penso a ciò che avviene ogni giorno nel Mediterraneo, alle tragedie, ai morti che affogano ormai nell’indifferenza. Ridotti a numeri. Soltanto numeri. L’orrore dell’indifferenza».
Dal Mediterraneo alla Cambogia. In un unico 'disegno' solidale e civile. L’obiettivo è di «riuscire a far conoscere alla popolazione le procedure di emigrazione legale e sicure, i diritti delle persone in quanto migranti e lavoratori. Perché c’è sempre un’altra possibile via per evitare di diventare schiavi». Takoua nel riprendere l’aereo per rientrare a Roma torna «con un nuovo bagaglio di conoscenze che mi permette di guardare il mondo da prospettive ancora diverse»: «Penso che questo libro, questo fumetto non può che essere l’inizio. Mentre lo stavo terminando riflettevo sul fatto che io, diversamente da loro, e da tanti altri popoli costretti a lasciare così la propria terra, a diventare schiavi posso viaggiare liberamente. E posso farlo nonostante io abbia un passaporto tunisino. E penso a chi ha un passaporto europeo, con l’enorme vantaggio di poter andare praticamente ovunque senza problemi. Perché, per quanto possa sembrare assurdo, dipende anche dal valore che viene riconosciuto a un documento piuttosto che a un altro…». Ma Takoua ha sempre con sé il suo passaporto universale: il disegno. Ha le sue tavole, la sua ironia. Per voltare le pagine nere. E colorare il futuro, con una matita.