INTERVISTA. Una Solidarnosc «all'italiana»
Sotto le due torri, Bersani ha combattuto battaglie anche più dure contro un avversario che non faceva sconti – «La Liberazione iniziò con i comunisti che si prendevano tutto quello che avevano lasciato i fascisti» –, tuttavia settant’anni dopo quei fatti molte opere sociali portano la sua firma. A partire dal Cefa (Comitato Europeo per la Formazione e l’Agricoltura), fondato nel solco della Populorum Progressio. Con quest’ong Bersani ha battuto in lungo e in largo l’Africa: «E mi è costato l’udito – sorride – perché gli elicotteri allora non erano pressurizzati».
Sei volte deputato e una senatore Dc, sottosegretario al lavoro nel settimo governo De Gasperi, parlamentare europeo e vicepresidente, quando Bersani fece ritorno dall’Albania era già un leader. «Nel 1940 mi trovai eletto condelegato nazionale per gli studenti della Gioventù Cattolica. Come voleva Gedda. Persona complessa, decisivo nel cambiamento che portò il mondo cattolico dall’Italia fascista a quella repubblicana. Glielo riconoscevamo anche noi giovani che scalpitavamo per andare oltre, sul piano dottrinario e spirituale. Uno dei miei amici più cari era Giuseppe Lazzati; a Bologna era di casa, prima di diventare rettore». E poiché le lenti della storia non sono appannate di convenienze, Bersani aggiunge che quell’incarico "impostogli" dal fondatore dei Comitati civici non fu una passeggiata: «La Fuci non gradì che facessimo concorrenza in casa sua. Quando rientrai in Italia il mio primo pensiero fu di raggiungere i territori liberati dal nazifascismo e riprendere l’opera di formazione. Lo scenario tuttavia era cambiato, l’invadenza del comunismo rendeva tutto più difficile in Emilia-Romagna».
Nel 2004 il Consiglio regionale, riconoscendo il suo impegno a fianco dei più deboli, ha approvato una risoluzione per la nomina a senatore a vita. Più tardi, lo hanno candidato al Nobel per la pace: c’è stato un tempo, però, durato decenni, in cui l’impegno sociale dei cattolici in questa città non era né condiviso né sopportato. Uno dei giovani che Bersani formava era il servo di Dio Giuseppe Fanin: fu ucciso nel ’48 da militanti del Pci per stroncarne l’impegno sindacale. Era un aclista come Bersani, che dell’associazione era dirigente nazionale quando si oppose alla svolta socialista e affrontò la traversata nel deserto, la scissione e la nascita, alla fine del 1972, del Mcl. «La separazione fu lunga e dolorosa soprattutto per Montini» ricostruisce l’ex presidente del Movimento Cristiano Lavoratori, ricordando la lunghissima amicizia con «l’arcivescovo dei lavoratori», iniziata all’università nel 1933 per proseguire ai tempi della Segreteria di Stato e dopo l’elezione al soglio pontificio. Nessun dubbio né sulla consapevolezza di Paolo VI né sul dolore con cui ordinò di ritirare gli assistenti ecclesiastici delle Acli: «La deriva era iniziata alla fine degli anni Cinquanta ed aveva impensierito anche Pio XII. Montini era contrario alla trasformazione delle Acli in movimento politico, ma sperava che rientrasse, finché nel 1970 la scelta socialista di Labor non fu esplicita».
Labor rifiutava di guidare «un’organizzazione di apostolato» mentre Bersani sognava, dice, «un movimento dei lavoratori simile a quelli che c’erano in Svizzera e in Germania, in cui l’ispirazione cristiana era un connotato forte. Lo spiegai a Montini che mi diede 30 milioni di lire per acquistare le nuove sedi. Aveva talmente chiara la funzione di apostolato di un movimento cristiano di lavoratori che, allorché si ebbero dei problemi economici, intervenne per rifinanziare le attività». Il <+corsivo>feeling<+tondo> si ripropose più tardi con un altro Papa, Giovanni Paolo II – «Ci fu molto vicino, parlavamo un linguaggio di promozione umana non diverso da <+corsivo>Solidarnosc<+tondo>» –, ma la storia ruota soprattutto intorno al Concilio e a Montini: «Diversamente da Labor credevamo che l’associazione dei lavoratori dovesse impegnarsi in una politica di formazione, di azione sociale, di partecipazione, di cooperazione in cui i cattolici non facevano propria la visione marxista ma restavano fedeli alla dottrina sociale della Chiesa». Per questo, nella temperie del ’68 e del Concilio, sotto la pressione dei mutamenti sociali indotti dall’industrializzazione, se ne andò in pezzi l’unità dell’associazionismo cattolico.
Vent’anni dopo, il mutato scenario internazionale avrebbe sancito la fine di quella politica. Bersani, che le ha vissute entrambe, non finge di compiacersene: «Avere una formazione politica che consenta ai cattolici dell’area sociale di proporre e sostenere una linea d’azione convergente resta necessario. In questo momento vediamo solo frammentazione, ma sotto la superficie si sta tentando pazientemente di tessere convergenze». I fallimenti di Todi, l’ipotesi Camaldoli… «Come nel mondo del lavoro, dopo feroci divisioni si inizia a discutere della compartecipazione dei lavoratori agli utili aziendali, il Forum delle associazioni del mondo del lavoro, cui partecipa anche il mio amico Costalli (presidente del Movimento cristiano lavoratori, ndr), è uno dei tavoli in cui si lavora per portare la dottrina sociale della Chiesa nell’organizzazione politica della società».
Ormai seduto dalla parte della Storia, Bersani ammette le difficoltà ma conserva tutta la tempra dei grandi protagonisti del secolo breve: «Siamo in un momento d’intervallo e bisogna stare attenti a non compromettere i valori che abbiamo trasferito nelle opere sociali, come le scuole paritarie. Nei giovani impegnati nell’associazionismo mi sembra comunque di vedere un atteggiamento come il nostro; se la situazione lo richiede sono disposti a fare la loro parte. Papa Francesco li incoraggia, giustamente. Anche dopo un secolo di vita si deve continuare a gettare la nostra soluzione oltre l’ostacolo». Infine la risposta più difficile: «Dio mi è stato vicino». Gli avevo chiesto come si fa a campare un secolo e a conservare la fede.