Cinema. “Dilili a Parigi”, una fiaba noir a difesa delle donne
Il cartone “Dilili a Parigi” di Michel Ocelot: la piccola protagonista Dilili con Louise Michel, Sarah Bernardt e Marie Curie
Nel giorno in cui Parigi è sotto choc per il devastante incendio alla cattedrale di Notre-Dame, stringe ancor più il cuore vederne risplendere la bellezza in un folgorante tramonto sulla Senna nel cartone animato Dilili a Parigi, in uscita nelle sale italiane il 24 aprile. Il maestro dell’animazione Michel Ocelot, non avrebbe mai immaginato che fra le splendide vedute della Ville Lumière, immortalate in 4000 foto da lui scattate e ridipinte per farne da sfondo al suo cartone, quell’inquadratura sarebbe rimasta come un documento storico. La violenza del fuoco ieri ha devastato la cattedrale dedicata a Maria come la violenza devasta le vite di tante donne, a partire dalle bambine rapite nel suo cartone di aperta denuncia sociale. «Non bisogna essere dolci con le violenze fatte alle donne, non bisogna usare le mezze tinte. Ci sono più donne uccise dal partner che dalle guerre. E le violenze stanno aumentando sempre di più, anche in Francia. Ma ci sono Paesi in cui le donne sono vittime non solo dei loro compagni o mariti, ma addirittura dei padri, dei fratelli e anche dei figli». È stato netto e diretto Michel Ocelot, da noi incontrato sabato scorso a Torino a Cartoons on the bay, la manifestazione organizzata da Rai e Rai Com, dove ha ricevuto il Pulcinella Award alla carriera e dove ha presentato in anteprima italiana Dilili a Parigi che ha vinto il Premio César per l’animazione (domenica anche ospite di Lucca Film Festival e Europa Cinema 2019).
Divenuto celebre con il personaggio del piccolo africano Kirikù che lo ha portato alla vittoria a Cannes, questa volta Ocelot abbandona la metafora poetica per denunciare con tono indignato, anche visivamente forte, la condizione delle donne violate nei loro diritti. Un lavoro dai toni per adulti, che intreccia due anime e due stili visivi contrapposti: una prima parte (la più riuscita per leggerezza fiabesca e poesia) luminosa e colorata, ambientata fra artisti, scrittori e scienziati nella Ville Lumière, simbolo della rinascita della cultura europea e del riscatto sociale delle donne, ed una oscura dove una misteriosa setta di uomini, i “maschi maestri”, è decisa a sottomettere le medesime rapendole sin da bambine. Fra questi due mondi si muove la deliziosa Dilili, un’orfana mulatta nata in Nuova Caledonia da padre francese e madre kanaka, allieva nientemeno che di Louise Michel, anarchica rivoluzionaria protagonista della Comune parigina, deportata proprio in Nuova Caledonia dove aprì scuole per i deportati e per gli autoctoni kanaki.
La piccola e curiosa Dilli si imbarca clandestinamente su un piroscafo per la Francia dove, scoperta, viene portata nella Parigi del 1900 sotto la protezione di una nobildonna. Una piccola alla ricerca della sua identità in un mondo che la vede come una “piccola selvaggia” (e qui appare anche il tema del razzismo), ma anche determinata a difendere le altre bambine, indagando, a rischio della vita, sui misteriosi rapimenti che terrorizzano la città. Ad aiutarla Orel, un giovane fattorino che sul suo triciclo la fa viaggiare nella magnificenza della Parigi dell’epoca (dall’Opera a Montmarte passando per salotti arredati in stile floreale presenti nel Museo d’Orsay), e il celebre soprano Emma Calvé, qui una sorta di fata turchina. Armata di un francese da Accademia e di impeccabili buone maniere, Dilil conquista tutti con un inchino: «Io sono lieta di conoscerla». E che conoscenze: Dilil interroga per le sue indagini nientemeno che Picasso, Toulouse-Lautrec, Matisse, Monet, Renoir, Rodin, Satie, Pasteur, Proust, Eiffel, il futuro re d’Inghilterra Enrico VII, in un gioco divertente di riferimenti scientifico artistico letterari. E, poi, soprattutto le donne “rivoluzionarie”: Marie Curie, Sarah Bernardt, Colette. Nell’insistita contrapposizione fra positivismo e oscurantismo, la pellicola rischia a tratti di scivolare nella retorica, compresa la sigla finale “politicamente corretta”, ma il messaggio a difesa della dignità della donna resta importante. Aggiunge Ocelot: «Durante la Bélle Epoque le donne cominciarono piano piano a conquistare i loro diritti: abbiamo avuto la prima studentessa universitaria, il primo avvocato, la prima tassista. Ma le donne oggi rischiano di tornare indietro». Per questo il passaggio nel buio delle fogne di Parigi, angoscia ancor di più: i nostri eroi scopriranno che i loschi e viscidi figuri, terrorizzati dalla nascente liberazione intellettuale e sociale delle donne, hanno rapito le bambine perché non frequentino le scuole, ridotte in schiavitù, costrette a camminare a quattro zampe, velate di nero dalla testa ai piedi. Una scena raggelante, che potrà colpire i più sensibili, che rinvia alle immagini choc delle studentesse rapite da Boko Haram in Nigeria.
«La sceneggiatura è stata scritta sei anni fa, appena prima del rapimento delle liceali nigeriane – ci racconta Ocelot –. Mentre giravamo la Francia è stata attaccata dagli integralisti islamici e questo ci ha dato voglia di fare un film ancora più forte e necessario». Uno scontro di civiltà? «Io sono preoccupato della situazione delle donne e delle ragazze in Francia. Quando vedo delle donne velate e tutte vestite di nero, guanti compresi, io penso che sia sbagliato. Beninteso, non attacco la religione ma l’utilizzo che se ne fa», aggiunge Ocelot che nel poetico Azur e Asmar aveva celebrato il mondo arabo-musulmano in un cartone sul dialogo e l’integrazione. Una curiosità per le culture del mondo che al 75enne Ocelot arriva dall’aver vissuto fino agli 11 anni nella Guinea coloniale dove lavoravano i genitori insegnanti. Ma l’animatore ha anche un forte spirito europeo che lo porterà presto «a lanciare un grande serie, finanziata dalla Comunità europea, composta da episodi girati da ogni paese del Vecchio Continente con le proprie stoirie e nella propria lingua». Comunque in Dilili a Parigi la speranza c’è, e sta nelle mani delle bambine, ma anche di tanti uomini perbene che esistono. «Le persone che si evolvono attraverso la civiltà, non hanno bisogno di uccidere e violentare. A farlo sono uomini deboli e insicuri che si rifanno su donne e minori».