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leggere, rileggere. Un tuffo rigenerante nella poesia dei ?Quattro quartetti' di Eliot

di Cesare Cavalleri mercoledì 6 aprile 2016
Un tuffo nei Quattro quartetti di T. S. Eliot è rigenerante come «la primavera di mezzo inverno», per dirlo con parole sue. Del resto, molte espressioni dei Quartetti sono entrate nell’immaginario collettivo, come «Nel mio principio è la mia fine» o l’emozionante preghiera alla Madonna («Signora il cui santuario sta sul promontorio...») nel quarto tempo di The Dry Salvages. I Quartetti sono il sontuoso addio di Eliot alla poesia. Pubblicati in tempi diversi – Burn Norton, 1936; East Coker, 190; The Dry Salvages, 1941; Little Gidding, 1942 – esprimono la loro unitarietà tematica e stilistica se letti insieme, a partire dall’edizione del 1945. Dopo i Quartetti, Eliot (1888-1965) si dedicherà al teatro e alla saggistica, a parte La coltivazione degli alberi di Natale e poche poesie d’occasione. Il Nobel arriverà nel 1948. In Italia fa testo la traduzione di Filippo Donini (Garzanti, 1959), e molti altri si sono cimentati, dal frammentario Emilio Cecchi a Raffaele La Capria (Damiani Editore, 2014). Nel 2002, Book Editore ha pubblicato ( Eheu fugaces, Postume, Postume...) la traduzione giovanile di Roberto Sanesi (1930-2001), con l’ulteriore merito di offrire le note di John Hayard, che Eliot esplicitamente ringraziò nell’edizione in volume. Tutti noi eliotiani abbiamo un debito verso Sanesi, che tanto si è prodigato per diffondere in Italia la fama dell’autore di The Waste Land. L’inesausto Massimo Scrignòli, dominus di Book Editore, nella collana di Classici diretta da Vincenzo Guarracino, ha stampato nel 2012 la versione dei Quartetti e della Terra desolata, elaborata da Carlo Franzini, professore di Fisiologia umana nell’Università di Bologna, e poeta in proprio. Qui non ci sono note, solo il testo inglese a fronte, secondo una scelta che sarebbe piaciuta a Ezra Pound. La sconfinata bibliografia sui Quartetti si arricchisce di un ottimo lavoro di Enrico Baiardo e Fulvio De Lucis, Dentro il mondo. Oltre il tempo. Lettura dei Quattro quartetti di T. S. Eliot (Erga, pagine 208, euro 14). Le quattro parti dell’unico poema sono analizzate anche musicalmente, attraverso le parole ricorrenti e con accurata ricerca delle fonti. Per esempio, viene fatto notare che «Nella mia fine è il mio principio», ultimo verso di East Coker che, rovesciato, era il primo, («Nel mio principio è la mia fine»), è sì il motto pronunciato da Maria Stuarda prima del “martirio”, ma originariamente «è il titolo di una composizione poetica e musicale di Guillaume de Machaut, autore trecentesco. Interpellato a proposito di Machaut, Eliot rispose che era felice di scoprire di essere stato anticipato». Certo la sinteticità della lingua inglese è disperante per i traduttori. Per esempio, il finale del terzo movimento di The Dry Savages, « Not fare well, / But fare forward, voyagers », diventa «Non andate tranquilli, / ma andate avanti, viaggiatori», in Franzini; «Non dite addio, / viaggiatori, ma avanzate», in Sanesi. Meglio il vecchio Donini: «Non addio, / Ma avanti, viaggiatori» che, con il corsivo di addio e avanti, cerca di rendere il gioco di parole tra fare well e fare forward. Di sicuro, i Quartetti sono un vertice della poesia del Novecento, in cui virtuosismo linguistico, filosofia e teologia s’intrecciano nel continuum spaziotemporale, espresso dal frammento di Eraclito messo da Eliot in epigrafe: « La via che sale e la via che scende sono la stessa cosa » . Il lungo itinerario verso la salvazione, nel quale la memoria e il futuro battono all’unisono, è ben compendiato nei versi di Little Gidding che Eugenio Corti ha trascritto a conclusione del suo immenso Cavallo rosso: «Ecco, ora svaniscono / I volti e i luoghi, con quella parte di noi che, come poteva, li amava, / Per ritrovarsi, trasfigurati, in un’altra trama» (Donini); «Vedi, ora essi svaniscono, i volti e i luoghi / che amai, divengono nuovi / trasfigurati in un altro disegno» (Sanesi); «Guarda, ora svaniscono, / i volti e i luoghi, insieme a chi, come poteva, li amò, / per diventare nuovi, trasfigurati, in un’altra trama» (Franzini). © RIPRODUZIONE RISERVATA