Testimonianze così forti, intense e sincere, sul tema dell’integrazione culturale come quelle che ci sta dando da anni Mohamed Ba sono uniche. Arrivato in Europa, da immigrato irregolare, in una fredda Parigi, all’inizio degli anni Novanta, ha poi raggiunto l’Italia, dove continua questo suo viaggio «con il rimpianto del paese nero e con la consapevolezza che chiunque non conosco è un libro che aspetta di essere letto». È nato a Dakar, in Senegal. Mediatore e animatore culturale, in collaborazione col Centro Missionario Pime e con varie associazioni sull’educazione alla mondialità in tutte le scuole elementari, medie e superiori della Lombardia, ha aderito al movimento per la promozione della letteratura africana e al circolo dei giovani scrittori per l’alfabetizzazione nelle zone rurali. Anche in Francia è stato coordinatore dell’operazione
Un immigré, un livre e nel 1998 ha pubblicato
Parole de nègre, un romanzo sulle migrazioni nei Paesi del Sahel. È in Italia dal 1999, dove ha lavorato molto sul fronte dell’accoglienza dello straniero, mettendosi in scena, andando a cercare le persone per comunicare con loro. Dice: «Mi muovo con la consapevolezza che il tronco d’albero in acqua ci può stare per secoli ma non diventa mai un coccodrillo. Sono tra coloro che hanno lasciato tutto sulla strada della speranza senza dimenticare nulla». Ha fondato il gruppo “Mamafrica”, che usa la percussioni per diffondere la cultura africana. Ha partecipato a vari progetti teatrali ed è autore e interprete di vari monologhi teatrali da
Parole fuori luogo (2002) a
B-Sogni (2004), fino a
Canto dello spirito (2006) e
Invisibili (2010), che ripercorre il cammino di due cittadini africani in Paesi stranieri, per ridare voce agli emarginati. Lo stesso tema dello spettacolo ritorna ora nel suo primo romanzo scritto in italiano, libro toccante che fa riferimento alla biografia dell’artista senegalese e alla sua storia di migrante, con l’idea forte di lasciare la sua terra d’Africa per andare a ricercare un altro uomo che se ne è andato con il tamburo, elemento magico della sua cultura, ma anche strumento per mettersi in ascolto dello spirito. In
Il tempo dalla mia parte (San Paolo, pagine 140, euro 12,00) l’idea di questo strumento musicale, assai efficace a livello narrativo, perché rappresenta una sorta di motivazione al cammino, ha una chiara dinamica simbolica che Mohamed Ba, così spiega: «Nel mio romanzo, il tamburo diventa quel battito che farà ballare l’umano che c’è in ciascuno di noi, dovunque provenga. Ricercare il tamburo vuol dire setacciare quel terreno sul quale si vuole costruire un ponte per superare le divisioni secolari tra Nord e Sud del mondo». Il romanzo diventa così un lungo viaggio che dai tempi bui e difficili dell’arrivo in Francia, ci porta al passaggio della frontiera, chiuso in un bagagliaio, dove tutto ricomincia da Ventimiglia fino a Milano, nella piccola comunità dove vive anche un cugino che lo ospita. E ci sono episodi curiosi: in una casa dove ascoltano Radio Popolare perché trasmette musica da tutto il mondo e anche africana, mentre inizia la canzone di un cantante famoso in Africa, casualmente, per alzare il volume, lui sbaglia manopola e cambia la frequenza, sintonizzandosi su Radio Maria. È una scoperta preziosa: riesce ad imparare la lingua, l’italiano, grazie al Rosario, scandito in una forma lenta, che permette di afferrare senso e pronuncia delle parole. C’è anche forte il tema della memoria cultura della propria terra, che vale per chi arriva dall’Africa, ma anche per chi vive a Milano e non alza, nel ritmo frenetico della sua vita, gli occhi verso le guglie una volta uscito dalla metropolitana. Un libro da leggere assolutamente, poche, intensissime pagine, in cui Mohamed Ba racconta molto anche del suo incontro con il cristianesimo, ma anche della sua attenzione verso l’ebraismo, visto che fa continuamente riferimento a episodi-cardine della storia sacra quando racconta della difficile situazione dei migranti. Ad esempio nello spettacolo
Invisibili la loro odissea è messa a confronto con l’esodo degli Ebrei dall’Egitto, anche se dice che loro non hanno nessun Mosè che possa guidarli. «Le acque del Mediterraneo per noi restano chiuse, anzi si aprono per inghiottirci». Il viaggio raccontato nel romanzo si chiude davanti al mare di Lampedusa, una chiusura indicativa, che fa dire a Mohamed Ba: «Di voi nessuno ha ricordo tranne il mare. Raccolgo ciò che rimane di voi e me lo porto dentro. Vi ringrazio cari fratelli, perché è nel vostro sangue che celebreremo l’unità dei popoli». E lui, l’artista che lavora con i bambini e che ha rischiato di morire, accoltellato, alla fine di maggio del 2009, durante un agguato razzista, chiude il libro riscrivendo «le tavole della Legge», per farle meglio intendere, ad «un mondo che è davvero cambiato anche se le radici non si muovono più». Con un invito: «Non desiderare solo la tua cultura, rischi la solitudine. Non desiderare solo la cultura d’altri, rischi di perdere la tua e distruggere te stesso. Non uccidere le differenze culturali, sono la bellezza dell’umanità».