Agorà

Il caso. Un solo unico grido: «Giustizia per Beatrice»

Massimiliano Castellani martedì 18 dicembre 2018

Bruno Beatrice omaggiato dalla Curva Fiesole

Come quella di Denis Bergamini sulla Curva del Cosenza, ora anche nella Fiesole di Firenze è apparso un bandierone su cui sventola il volto fiero di un grande cuore viola, Bruno Beatrice. Due esistenze, brevi, da mediani, “uccisi” in circostanze tutte ancora da appurare, nel 1989 Bergamini, nell’87 Beatrice. Di Denis Bergamini abbiamo parlato nei giorni scorsi con sua sorella Donata e ora attendiamo, a breve, la chiusura dell’inchiesta da parte della Procura di Castrovillari. Sul caso Beatrice, la “storia madre” delle tante, troppe “morti bianche” del calcio italiano, ci interroghiamo da oltre un decennio. Da quando la vedova di Beatrice, Gabriella Bernardini prima, e i suoi figli Claudia e Alessandro poi, denunciarono ad Avvenire questa sospetta quanto evitabile morte causata da un pallone avvelenato. E a denunciare per fortuna ora non sono più da soli. Un’intera Curva, quella calda della Fiorentina già lo scorso anno per la prima volta espose lo striscione «Giustizia per Bruno Beatrice».

Domenica, in occasione del derby Fiorentina-Empoli quello stesso appello è diventato un coro assordante e la scritta incorniciava il bandierone con l’effigie dell’Indiano, il nome di battaglia che Gigi Radice (scomparso di recente) aveva affibbiato a Beatrice. Una roccia dai polmoni d’acciaio l’ex mediano, in viola dal 1973 al ’76, stroncato a 39 anni da una leucemia che per i periti scientifici della famiglia Beatrice probabilmente è stata causata da un «ciclo scellerato» di raggi Roentgen a cui si sottopose per guarire in fretta da una banale pubalgia. L’inchiesta condotta dai Nas e dal pm di Firenze Bocciolini, appurò che nella Fiorentina degli anni ’70 si fece «sperimentazione medica ». Da questa, le possibili conseguenze letali che hanno portato alle morti premature degli ex viola e compagni di Beatrice: Nello Saltutti, Giuseppe Longoni, Ugo Ferrante, Massimo Mattolini, Giancarlo Galdiolo (oltre ai casi di Giancarlo Antognoni, infarto a 51 anni e Domenico Caso, tumore al fegato da cui è guarito). Storie tragiche sulle quali è calato un vergognoso silenzio. L’unico grido disperato resta quello della famiglia Beatrice che, alla quale dopo essere state chiuse le porte del tribunale per il processo penale, dal 2013 si è vista almeno aprire le porte del procedimento civile. Siamo nella fase di consulenza tecnica, il giudice ha chiesto ai suoi periti di rispondere a precise domande. Il lavoro alacre e appassionato svolto in passato dai Nas di Firenze sta tornando utile agli in- quirenti, e la verità, forse, non è più così distante.

La morte di Beatrice ha i suoi responsabili, tutti a vario titolo coinvolti in un sistema spietato, come fotografato già nelle indagini penali. La sua famiglia si è trovata più volte dinanzi a una serie infinita di atteggiamenti omertosi. «Quello del calcio, è il mondo più omertoso in cui mi sono imbattuto in tutta la mia lunga carriera» citiamo a tal proposito il giudice di Torino Raffaele Guariniello, a cui si deve la prima inchiesta sulle “morti bianche” del calcio italiano, in cui ovviamente spicca il “caso Beatrice”, sul quale pesa l’ombra dei continui depistaggi. La sua cartella all’ospedale Camerata, dove per tre mesi tutti i giorni - dal marzo a maggio del ’76 - ha subìto quel ciclo di raggi Roentgen, quando al massimo se ne potevano fare non più di due o tre all’anno - non è mai stata trovata. Guarda caso è sparita nel nulla... Un muro di gomma, è la barriera alzata e che separa i Beatrice dalla verità. Ma c’è una verità inconfutabile già emersa nell’inchiesta dei Nas: il «ciclo scellerato» di Roentgen su Beatrice è stato confermato da gran parte dello staff medico della Fiorentina dell’epoca. La Giustizia non dovrà fermarsi dinanzi ad ogni abuso di potere, di spirito corporativo o massonico. Nessun tecnicismo potrà impedire di arrivare a una sentenza giusta e davvero riparatoria del male che è stato fatto a questa famiglia. Rendere giustizia a Beatrice sarà anche, in certa misura, dare giustizia ai tanti casi di morti sospette che si sono perpetuate nel nostro calcio.

È un’occasione da non perdere, dopo tanti anni c’è possibilità di far trionfare la verità. Trent’anni, anzi 31, di silente solitudine per Gabriella e i suoi figli, è stata finalmente rotta dal calore e il conforto del popolo viola. Domenica la Fiesole ha donato una grande emozione ai tanti tifosi e alla famiglia Beatrice. Il tam-tam sui social in settimana e l’invito al megafono degli ultrà viola prima della partita, è servito a far conoscere la storia di Bruno anche ai numerosi millennials viola presenti al Franchi e che hanno abbracciato Alessandro (di cui sotto pubblichiamo la lettera che ci ha inviato). Ora anche loro sanno, e si sono stretti in unico coro: «Giustizia per Bruno Beatrice».

CARO BABBO, SPERO ALMENO CHE LE SCARPE SIANO GIUSTE

Saranno state le 9 di mattina, la mia mamma salì le scale di casa nascondendo il viso dietro a un paio di occhialoni. Io e Claudia dormivamo. «Volete venire a salutare il babbo?», ci disse. La Claudia rispose «no» e scappò via. Io senza pensarci dissi «sì, vengo a salutarlo ». Era il 16 dicembre 1987. Avevo 8 anni, e da quasi due non rivedevo il mio babbo che era ricoverato in ospedale, in una camera asettica. Se andavamo a trovarlo restavamo giù in strada e lui ci salutava dalla finestra. Quel giorno lo rividi... ma era già in coma, e si addormentò per sempre. Lo vestirono con la tuta dell’Arezzo, quella della Fiorentina non arrivò in tempo, anzi, non arrivò mai. Le scarpe le scelsi io, delle adidas blu, le più comode, perché pensavo che dovesse fare un lungo viaggio: dentro c’era ancora la sabbia dell’ultima volta che eravamo stati al mare... Oggi ho 39 anni, la stessa età di quando lui morì. La mia bambina si chiama Viola e il 6 gennaio farà sette anni. Non passa giorno che non pensi: ce l’hanno portato via. I colpevoli? Sono dei “diavoli del denaro” che rimbalzano attorno a un campo di pallone. Spero solo una cosa, le scarpe che avevo scelto erano quelle giuste. Aspettiamo giustizia. Ti amiamo tutti Babbo mio! Lettera di Alessandro Beatrice