«Prima del 25 luglio tutti dovevamo essere fascisti… ma tutti eravamo stanchi della guerra». Roberto Denti, noto libraio che quasi quarant’anni fa ha dato vita a Milano alla «Libreria dei ragazzi» (la prima del genere in Italia) aveva 19 anni quando cadde il fascismo. Con la morte del padre, per aiutare la famiglia, pur continuando a frequentare il liceo, trova lavoro: archivista al quotidiano
Il regime fascista, diretto da uno dei leader più intransigenti del partito, Roberto Farinacci. «Vivevo in una posizione di compromesso – ricorda –. Il fascismo era riuscito a convincere tutti gli italiani. Ho avuto la fortuna di avere mio fratello che mi ha aperto gli occhi». L’8 settembre, l’armistizio; l’esercito italiano è allo sbando e scatta la solidarietà verso i militari: «Tutte le mamme a cui veniva rivolta la richiesta di un vestito, lo regalavano con entusiasmo». Un manifesto annuncia la nascita della Repubblica sociale italiana. Roberto fa la sua scelta: «Mai e poi mai avrei vestito la divisa dell’esercito fascista». Iniziava così
La mia Resistenza (Rizzoli, pp. 170, euro 14).
Perché ora e perché questo aggettivo «mia»?«Non ho voluto scrivere una storia della Resistenza: una realtà complessa, che richiede valutazioni di vario genere. Ho raccontato la mia storia personale. Non l’ho fatto prima perché nessuno me l’ha chiesto. Anche Gianni Rodari, Pinin Carpi hanno avvertito per lungo tempo il bisogno di non parlare…».
Una storia, la sua, che comincia in un modo un po’ troppo avventuroso, «garibaldino».«Mia madre era direttrice didattica a Casalmaggiore. Un maestro mi aveva messo in contatto con un gruppo di antifascisti. Ci trovavamo a Cicognara con la scusa di preparare una commedia nel teatrino della parrocchia; la copertura era Goldoni, la sostanza ben altra: dovevamo predisporre le mappe per far saltare il ponte di barche sul Po. Ai primi di novembre una contadina ci avvertì che il parroco e altre tre persone di Cicognara erano stati arrestati. Inventai una scusa con mia madre e tornai di corsa a Cremona».
Ma in città non poteva più stare...«Per la Rsi ero ormai un renitente. Avevo parenti a Pontremoli. Li raggiunsi e quindi sono andato sui monti di Cervara dove si arrivava soltanto a piedi. Nelle vicinanze c’era una trentina di ex militari che si nascondevano ai tedeschi. La zona era sicura. Per la popolazione eravamo degli sbandati, il nome «partigiani» era sconosciuto. Il nostro obiettivo era dare fastidio in vari modi ai tedeschi. Mi giunse la notizia che mia madre era stata arrestata. «Vai a Pavia da tuo fratello. Ti aiuterà ad uscire da questo casino», mi disse il comandante del gruppo».
Varie vicende, poi lei venne arrestato. Come visse quel momento?«Un giorno mio fratello mi informò che sarebbe venuto a trovarmi un "cugino". Attraverso la rete metallica che divideva i prigionieri dai visitatori, il "cugino" mi passò un foglietto stampato nella clandestinità. Lo lessi quando ritornai in cella e mi emozionai profondamente. Conteneva
La preghiera del ribelle di Teresio Olivelli. Seppi dopo da mio fratello chi era quel "cugino", e che Olivelli (morto poi martire nel lager) era solito visitare i giovani partigiani incarcerati. Fu un momento di grande emozione anche in chi non era religioso».
Uscito dal carcere, un altro incontro importante…«Dovevo lasciare Cremona in tutta fretta e far perdere le mie tracce. Mia madre era molto legata a don Primo Mazzolari; lo aveva incontrato spesso. In bicicletta con lei raggiunsi Bozzolo, il paese dove il sacerdote scrittore era parroco. E don Primo mi ospitò per 4 giorni nella canonica. Mi raccomandava di stare tranquillo, di non mettere il naso fuori casa. Mi spostai quindi a Milano nell’abitazione del maestro Giulio Confalonieri, amico di famiglia, e grazie a lui arrivai a Firenze nella villa di una signora antifascista, dove si tenevano sedute medianiche e dove avrei atteso l’arrivo degli Alleati».
Qui avviene il suo passaggio da sbandato a partigiano, con tanto di nome di battaglia.«Nella villa avevo fatto amicizia col figlio del giardiniere, già militante tra i partigiani, e con lui raggiunsi la zona di Marradi entrando quindi nella brigata Rosselli, inquadrata nella divisione "Giustizia e libertà". Il mio nome di battaglia? Mandelli, il cognome della nonna».