Il racconto. Will Jones: «Così mi sono costruito una casa nel bosco»
La casa nel bosco costruita da Will Jones
Anticipiamo un estratto di Come costruire una casa nel bosco e imparare a vivere nella natura selvaggia (Utet, pagine 256, euro 25,00) del giornalista Will Jones. L’autore ha messo in pratica un progetto che, per molti, rimane un’idea irrealizzata: costruire una cabin – una casa – nel bosco in un terreno di 1,2 ettari in Ontario, a tre ore da Toronto. Sognando la “capanna di legno” di Papà Finn in Le avventure di Huckleberry Finn e la “tana” di Bilbo Baggins descritta da Tolkien, Jones ha conosciuto le baracche, i rifugi di montagna e le capanne dei pastori. Il libro alterna il racconto della sua nuova vita nella natura a schede pratiche e disegni tecnici.
Tutto comincia con le raganelle primaverili – come sempre, d’altronde. La neve è quasi scomparsa, restano solo gli ultimi testardi blocchi grigiastri nascosti nell’ombra, tra gli alberi e dietro la catasta di legna. Gli uccelli migratori cominciano a farmi visita: cardellini e fringuelli viola provano a farsi largo nella mangiatoia che ho allestito. Giù al fiume incontro germani reali, smerghi e oche canadesi. Il fiume stesso sta tornando nel suo letto naturale, dopo aver inondato il terreno acquitrinoso tutto intorno durante il disgelo primaverile, che anche quest’anno ha visto sciogliersi nel giro di un paio di settimane lo spesso strato di neve bianchissima che si era accumulata in cinque mesi. Ora cantano all’unisono, e il loro richiamo è per me un irresistibile invito a scendere fino alla riva del fiume, sul terreno ancora invaso dall’acqua, dove ogni mio passo crea un piccolo mulinello. Le sento oggi, come le ho sentite quel giorno di maggio, me lo ricordo benissimo: il sole sorgeva sulle colline a est coperte di aceri e abeti, ho sollevato lo sguardo e ho immaginato di costruire con le mie mani una piccola casa proprio in quel luogo così speciale. È cominciata così. [...] Il posto che ho appena descritto si trova all’interno di un terreno di 1,2 ettari nell’Ontario, in Canada, a circa tre ore di macchina dall’affollata e brulicante Toronto. È il mio piccolo appezzamento di terra in una natura quasi selvaggia, che sembra estendersi all’infinito in ogni direzione: un alternarsi di colline e vallate ricoperte da foreste di conifere, enormi distese di terra inzuppata da torbiere e paludi, e laghi. Centinaia di laghi. [...] Io abito 16 chilometri a sud di Haliburton, uno degli storici paesini nati per il commercio del legname: una volta la ferrovia finiva proprio qui, e le sponde dell’Head Lake erano costellate di segherie. Le foreste dei dintorni furono saccheggiate senza pietà, e le vecchie fotografie mostrano enormi aree completamente coperte di rami e tronchi tagliati. Per portare avanti questa devastante attività c’era bisogno di uomini e di alloggi che li ospitassero, e così sorsero umili baracche e case di legno più dignitose, edifici comuni come chiese e mense, il tutto pensato per proteggere i lavoratori e le loro famiglie dalle avversità di un territorio così selvaggio. [...] Questo tipo di costruzioni, che in inglese chiamiamo genericamente cabin, mi ha sempre affascinato. In realtà mi affascinava soprattutto l’idea – forse un po’ romanticizzata – di come doveva essere vivere così a stretto contatto con la natura. All’inizio sognavo quelli dei romanzi, dalla “capanna di legno” di Papà Finn in Le avventure di Huckleberry Finn di Mark Twain, alla meravigliosa descrizione che J.R.R. Tolkien fa della “tana” di Bilbo Baggins, che la trasposizione hollywoodiana del Signore degli anelli ha reso celebre e fin troppo lussuosa. Poi ho conosciuto quelle vere, come la baracca isolata in cui vissero il capitano Scott e la sua squadra nella loro tragica spedizione in Antartide del 1910, o le deliziose bothies – i rifugi di montagna disponibili per chiunque voglia approfittarne – e i capanni dei pastori di cui scrive Robert Macfarlane, autore prolifico e grande camminatore, quando racconta le sue incantevoli passeggiate nelle zone rurali delle isole britanniche. E così, pian piano, nella mia testa coltivavo il sogno di costruirmi una di queste abitazioni e provare di persona com’è vivere in un luogo dove gli unici rumori notturni sono i versi delle rane o i grugniti degli animali di passaggio; quando arrivò finalmente l’occasione di costruirmi una cabin sulla r iva di un fiume, dalla quale avrei osservato i castori nuotare e i martin pescatori tuffarsi, be’, la colsi al volo. [...] Non è la mia dimora principale, quella dove vivo con la mia famiglia, ma in qualche misura lo è in senso spirituale: è dove mi sento a casa. A molti sembrerà piccola, con i suoi 3 × 3 metri, e non è per nulla una soluzione di lusso, ma incarna alla perfezione la mia idea di rifugio silenzioso. Qui, non penso agli impegni o al lavoro; non mi chiedo se la stagione di caccia al cervo andrà meglio dell’anno scorso; forse dovrei, ma non lo faccio. Mi limito a chiudere gli occhi e respirare. Sento l’odore del fiume e dell’aria limpida. Ascolto il gorgoglio dell’acqua. Un alito di vento gelido mi provoca un brivido, ma non disturba la mia immersione nella natura che mi circonda. È tutto come in un sogno. Un sogno diventato realtà.