Geopolitica. Lucio Caracciolo: «Un continente da ravvivare»
Lucio Caracciolo (Ansa)
Papa Francesco osserva l’Europa con lo sguardo di Magellano. Ovvero con l’occhio della periferia che scruta il centro. Sguardo particolarmente fecondo, perché nota ciò che non si può mettere a fuoco stando nel cuore dell’oggetto che si vorrebbe studiare. E lo stesso Bergoglio a spiegarlo in un ’intervista: «Normalmente noi ci muoviamo in spazi che in un modo o nell’altro controlliamo. Questo è il centro. Nella misura in cui usciamo dal centro e ci allontaniamo da esso scopriamo più cose, e quando guardiamo al centro da queste nuove cose che abbiamo scoperto, da nuovi posti, da queste periferie, vediamo che la realtà è diversa. Un esempio: l’Europa vista da Madrid nel XVI secolo era una cosa, però quando Magellano arriva alla fine del continente americano, guarda all’Europa dal nuovo punto raggiunto e capisce un ’altra cosa. La realtà si vede meglio dalla periferia che dal centro ». Magellano non riuscì a rientrare in Europa. Morì nelle Filippine. Se non fosse per Pigafetta, non sapremmo delle sue imprese. Bergoglio è stato invece richiamato in Europa dalla periferia argentina per servire la Chiesa dal suo centro stesso, Roma. Insediato nel centro della nostra penisola sud-europea che lega e insieme nega l’Europa al Mediterraneo.
Prospettiva euromediterranea, che i flussi migratori transmediterranei rendono oggi decisiva nel formare la visione europea di papa Francesco. In quanto argentino, papa Francesco non ha né potrebbe avere il sentimento di appartenenza dei suoi predecessori al Vecchio Continente. Non quello bavarese di Benedetto XVI né tanto meno quello di Giovanni Paolo II, il pontefice polacco che aveva vissuto sulla propria pelle i decenni della partizione fra le due Europe e che perciò stesso indicava nell’orizzonte di un ’Europa che tornasse a respirare con «due polmoni » – l’Est e l’Ovest, in senso non solo spirituale ma anche geopolitico – un obiettivo tangibile e degno di essere perseguito. Altro che sguardo di Magellano: Ratzinger e Wojtyla erano totalmente endogeni, venivano dal centro del centro dell’Europa sconvolta dalle due guerre mondiali e bisecata dalla guerra fredda. Il problema di papa Bergoglio non è di riunire in pace l’Europa, ma di ravvivarne l’anima. La presenza della Chiesa in Europa segue in Francesco esattamente questo precetto: ridare anima a un progetto che l’ha persa. O che forse non l’ha mai avuta.
Progetto, non oggetto. L’Europa di Bergoglio non è una cosa, è un divenire. È tempo, non spazio. Perché lo spazio implica dominio. E che cos ’è stata storicamente l’Europa, se non lo spazio dal quale potenze grandi e meno grandi sono mosse alla conquista del mondo? Esse ora si trovano ad affrontare – nella forma di profughi provenienti dai precari territori già coloniali sgombrati dalle potenze europee e oggi devastati dalla guerra – l’onda di risacca di quei colonialismi che certamente un papa argentino, figlio di una ex-colonia, non può apprezzare. In questo contrappasso sta il dramma geopolitico e spirituale di noi europei d’oggi. Proprio perché avvantaggiato dalla prospettiva periferica, Francesco coglie meglio di molti europei di nascita la radice demografica e biologica dell’inaridimento di quello che fu il grande giardino della Chiesa.
Siamo un continente di vecchi, che fa pochi figli. Può un continente così ridotto concedersi il lusso di erigere barriere contro i migranti? Può rifiutarsi di accogliere forze giovani – certo aliene, non facilmente integrabili – per timore di contaminarsi, di perdere consolidati privilegi? Ma soprattutto: può un continente di vecchi osare pensieri nuovi? In ultima analisi, per papa Bergoglio solo i giovani potranno salvare l’Europa. E l’Europa si salverà solo se tornerà giovane e creerà una nuova comunità di diversi. La lezione di Francesco consiste nella tesi che questa parte di mondo ritroverà il suo impulso generatore solo aprendosi al resto del mondo. Anzitutto al contiguo mondo mediterraneo. Integrare o perire: ci voleva lo sguardo di Magellano per aprirci gli occhi sul dilemma che occuperà l’Europa per le prossime generazioni.