Storie di cuoio. Un calcio libero dietro alle sbarre
L’allenamento di “Pallalpiede”, la squadra di Terza categoria dei detenuti del carcere Due Palazzi di Padova / A. Facchinetti
Beve il caffè dopo aver pranzato, poi appoggia la borsa con gli scarpini sul bagagliaio dell’auto e da Mestre prende l’autostrada in direzione Milano. Neanche mezz’ora di viaggio, uscita “Padova ovest”: di lato si lascia lo Stadio Euganeo,senza degnarlo nemmeno di uno sguardo perché nel cuore gli è rimasto soltanto il vecchio Appiani (il mitico impianto del grande Padova che fu del Paròn Nereo Rocco) e perché ora il campo dove deve andare è poco più avanti. È quello all’interno del carcere Due Palazzi. Walter Ballarin, calciatore professionista in pensione, dà una mano a mister Fernando Badon ad allenare Pallalpiede, squadra di calcio nata nella casa di reclusione padovana, oggi l’unica iscritta ad un campionato Figc. Giocano in Terza Categoria, siamo ancora durante la sosta invernale e sabato la squadra non gioca comunque perché il torneo è composto da un numero dispari di formazioni e a turno una riposa. Il girone d’andata si è concluso al primo posto, Pallalpiede è campione d’inverno. Con tre punti di vantaggio sulla seconda rimarranno in ogni caso in testa anche dopo il prossimo weekend. L’Associazione nasce nel luglio del 2014 da un’idea di Lara Mottarlini e Paolo Mario Piva, che oggi sono rispettivamente presidente e presidente onorario. Dalla prima ora dentro alla Polisportiva c’è anche Andrea Zangirolami. L’obiettivo è quello di «dare, grazie al calcio, un momento di normalità ai detenuti, insegnare loro che c’è un’esistenza diversa oltre al carcere e alla vita delinquenziale». Pallalpiede deve disputare tassativamente (e per legge) tutte le gare, sia quelle casalinghe che quelle in trasferta, “in casa” nel campo del carcere, leggermente più piccolo di quello regolamentale. Per questo la squadra non entra ufficialmente in classifica e se anche finisse al primo posto non verrebbe promossa in Seconda Categoria. Da quattro anni alza la Coppa Disciplina, per aver avuto in ogni stagione il minor numero di squalifiche. La formazione più corretta del dilettantismo padovano. Pochi mesi fa a premiare Pallalpiede sono stati il sindaco di Padova Sergio Giordani (ex Presidente del Calcio Padova) e l’assessore allo Sport Diego Bonavina (ex calciatore del Treviso). A ritirare la coppa in municipio si è presentata una delegazione della squadra composta da chi ha il permesso per uscire. Nel gruppo di albanesi, rumeni, nordafricani, nigeriani e italiani ci sono anche ergastolani, quindi non tutti sono quelli che in gergo vengono definiti «permessanti». Mentre mister Badon, un passato in serie C e di giovanili nel Calcio Padova con Vittorio Scantamburlo, prepara il campo per l’allenamento, appoggiando i “cinesini” uno dietro l’altro, Ballarin segue il riscaldamento dei ragazzi. Poi sarà il primo allenatore a gestire il lavoro e Ballarin rimarrà attento che il singolo giocatore faccia correttamente il gesto tecnico e atletico. Se è il caso lo corregge, puntando molto sull’aspetto mentale per cercare di migliorargli la capacità di concentrazione. «Da calciatore – dice Ballarin – ho fatto tutte le categorie dei dilettanti e tutte quelle dei professionisti. Nel 1971 dal Mestrina mi aveva aquistato Giussy Farina, per dieci anni sono stato del Lanerossi Vicenza che mi mandava in prestito o in comproprietà in giro per l’Italia. Sono stato due volte capocannoniere di serie C, l’anno più bello quello di Siracusa. Il giocatore più forte con cui ho giocato? Sicuramente Ezio Vendrame, una fantasia e una tecnica incredibile, un personaggio fuori dal comune nel mondo del calcio... Al Padova sono arrivato nel novembre del 1975 e grazie ai suoi assist ho vinto la classifica marcatori. Ezio è anche un uomo dolce e intelligente. Dall’esperienza con i ragazzi del carcere sto ricevendo moltissimo. Raramente trovi giocatori che abbiano questa voglia di imparare e di stare ad ascoltarti. A me e a Fernando danno tutto: è il massimo che un allenatore può chiedere, in qualunque categoria si trovi». Badon e Ballarin si sono conosciuti al Venezia, stagione 1983-1984 di serie C. Badon un giovane che si affacciava al professionismo, Ballarin un bomberone che aveva già passato i trenta e che come al solito segnava a raffica. Quando l’anno scorso Badon ha chiesto all’ex compagno di fargli da secondo, ha detto subito sì. «Io e Walter ci capiamo con uno sguardo – dice Badon – siamo amici e parliamo la stessa lingua calcistica. Questo i nostri ragazzi lo percepiscono». Non chiedono molto spesso a Ballarin delle sue esperienza da calciatore di A (cinque presenze col Vicenza, «e anche là c’era Vendrame») e lui, figlio di un pescatore dell’isola veneziana di San Pietro in Volta, non fa pesare il suo passato né sente il bisogno di fare troppo storytelling. «Cerco di portare la mia esperienza – continua Ballarin – tranne un paio con velocità di esecuzione e di pensiero da calciatori veri, gli altri non avevano mai visto prima un campo da calcio. Ma sono cresciuti tantissimo su diversi aspetti, per esempio sulla postura del corpo ma anche sulla preparazione e l’approccio emotivo alla gara. Sono attenti ai dettagli, tipo: si cucinano il pranzo in cella qualche ora prima di scendere per la partita». Badon, che in queste settimane di pausa sta facendo un richiamo di resistenza e forza, dice: «Hanno capito l’importanza del lavoro e del sacrificio all’interno di un momento di gioia e divertimento qual è il calcio, ovviamente nei limiti permessi dalla loro condizione di detenuti». Alle 16,30 l’allenamento finisce e non è ancora buio. «Quando prima – è Ballarin a parlare – mi sono seduto sulle panche dello spogliatoio, mentre Fernando si rivolgeva alla squadra, facendomi intervenire a tratti, ho avvertito una cosa: il calcio è uguale in qualsiasi categoria, dalla serie A come in Terza Categoria dentro ad un carcere ». Ora Badon e Ballarin devono passare i nove cancelli che li riportano fuori. Ributtano le borse sui bagagli delle rispettive auto e ritornano alle loro vite. Mentre si lanciano un’ultima occhiata orgogliosi perché anche oggi hanno lavorato bene, i loro calciatori stanno salendo le scale per rientrare nelle loro celle. «Siamo primi ma fuori classifica. Però da quattro anni vinciamo la Coppa Disciplina»