Agorà

Reportage. I maestri dell'arte per la rinascita dell'Umbria

Massimiliano Castellani, Trevi giovedì 1 novembre 2018

Il borgo di Trevi in Umbria

Passaggio in Umbria. Regione dalle vene aperte: sono le ferite di un terremoto stillicida, incessante, iniziato negli anni ’80 in Valnerina, repliche diffuse nel 1997 con “crollo” e morti nella Basilica di San Francesco ad Assisi, fino al tragico sbriciolamento della Basilica di San Benedetto, a Norcia, ottobre 2016. Colpa della conformazione geologica di questi benedetti e “giovani” «Appennini ballerini». Umbria, sipario naturale come pochi, che attraversiamo spingendoci nei suoi borghi incantati: siamo nel “quadrilatero” che va da Spoleto a Scheggino, da Montefalco a Trevi. Atmosfera suggestiva, rarefatta: un maestro della storia dell’arte come Roberto Longhi l’aveva definito «clima sentimentale ». È l’amore antico, viscerale, per la propria terra, quello che nutre questa comunità di poco più di 50mila anime in tutto, raccolta in un fazzoletto verde nel raggio di 30 chilometri. Lassù sula Piana di Castelluccio, e in tutto il norcino, c’è ancora tanto da fare per rimettere in piedi case e chiese. Una ricostruzione lenta (specie ora con l’inverno che bussa), silenziosa, come le giornate scandite dall’ultimo tepore del sole che bacia i vicoli e le piazze di questi centri in cui lo spirito di rinascita spira più forte della tramontana.

Ed ora è condensato in una mostra meravigliosa che ha per scenario questo quadrilatero umbro. L’imprescindibile. Capolavori del Trecento. Appuntamento imperdibile, eppure la mostra è passata un po’ sotto traccia, inaugurata il 24 giugno ( Avvenire l’ha recensita il 20 luglio, ndr) chiude i battenti domenica 4 novembre. Il sottotitolo dell’allestimento “diffuso”, è emblematico: “Il cantiere di Giotto, Spoleto e l’Appennino”. Filo conduttore di questa preziosissima esposizione itinerante - curata da Vittoria Garibaldi, Alessandro Delpriori e Bernardino Sperandio - è andare appunro «oltre Giotto» e il cantiere di Assisi, per immettersi sulle tracce dei grandi Maestri della pittura del ’200 e ’300, fautori di una rinascita culturale che settant’anni fa - annota Vittoria Garibaldi - da «pioniere», aveva indagato a fondo lo storico dell’arte americano Edward B.Garrison. Maestri per lo più anonimi, «spesso erano sia pittori che scultori», puntualizza il sindaco di Trevi Bernardino Sperandio. Autori pregevoli, che giova rispolverare dalla patina di un immeritato oblio, prontamente lustrato dallo stupore che si prova al cospetto dei loro capolavori. Sono le opere del Maestro delle Palazze, il Maestro di Sant’Alò, il Maestro di San Felice di Giano, il Maestro di Cesi, il Maestro di San Ponziano, il Maestro della Croce di Trevi, il Maestro della Croce di Visso, il Maestro di Fossa. Il nome con cui si “firmano” si identifica con il luogo di nascita, più spesso con il territorio in cui hanno operato lasciando segni tangibili del loro artistico passaggio umbro. E il cerchio della posa e della relativa azione, pittorica e scultorea, si restringe all’area che va dalle province delle Marche, Abruzzo, Lazio e Umbria. In pratica in quella zolla di terra fertile, anche dal punto di vista della fioritura dell’arte, che per la cruda cronaca contemporanea è tristemente assurta ad «epicentro del mondo». Ma dalle macerie, dalle scorie - anche di una cattiva informazione navigante sulle rotte dei social - , questi borghi hanno dimostrato di possedere una stoica resistenza, soprattutto culturale. Sono rinati, e risplendono di nuova luce che si riflette nei 70 «Capolavori» in mostra.

È una continua e affascinante scoperta questo viaggio a ritroso, dal cantiere assisiate fino alle porte della Valnerina. Nel microcosmo di Scheggino - ha meno di 500 abitanti il Comune del sindaco Paola Agabiti “patria” del tartufo nero di Norcia con la storica dinastia dell’azienda Urbani, altrettanto prelibato si presenta lo Spazio Arte Valcasa- na. Qui si documenta e purtroppo si fa la conta dei monumenti perduti dopo il terremoto, ma si rintracciano anche i frammenti da cui ripartire, come gli affreschi della magnifica abbazia di San Salvatore a Campi di Norcia. Esperto di recupero paesaggistico e del restauro artistico-architettonico è proprio il primo cittadino di Trevi, Bernardino Sperandio. Guidati dall’esperto antiquario conte Marco Pandolfi Elmi, il sindaco ci aspetta da primo «custode» della città, dinanzi all’ingresso della Pinacoteca trevana. Edificio che immette nella Chiesa di San Francesco, complesso del XIII secolo in cui tra le stupende sculture del Maestro di Fossa spicca il Crocifissodel Maestro della Croce di Trevi. «Guardate gli occhi di quel Cristo... sono illuminati, è come se il Maestro della Croce di Trevi avesse voluto irradiarli con l’ultimo raggio di sole prima della morte», spiega con passione Sperandio che per indicarci l’antica via consolare, la Flaminia, che collega Trevi alla nostra prossima meta, Spoleto, ci regala l’affaccio dal giardino della cinquecentesca – «completamente recuperata » – Villa Fabbri. Da lì, costeggiando colline ammantate di ulivi secolari ci si muove alla volta di Spoleto. Qualche “teleturista” distratto va ancora alla ricerca della misteriosa casa di “Don Matteo” (qui ha sede il set della fortunata serie televisiva Rai con Terence Hill) prima di un sano tuffo nel Medioevo nella Chiesa di Sant’Eufemia: mirabile esempio di architettura romanico-lombardo le cui prime notizie risalgono al X secolo. L’itinerario della Mostra parte da qui, per poi passare nelle sale del Museo Nazionale del Ducato e quelle del Museo Diocesano dove sono conservati pezzi di rara bellezza della tradizionale scultura lignea trecentesca e il Trittico con incoronazione della Vergine del Maestro di Cesi (proveniente dal Museo Marmottan Monet di Parigi) che può idealmente riabbracciare - non accadeva dall’inizio dell’800 - il Crocifisso con Christus triumphans dipinti entrambi per il monastero di Santa Maria della Stella di Spoleto. Vertici compo-sitivi, che si innalzano fino all’acropoli spoletina, la maestosa fortezza della Rocca Albornoz in cui si resta letteralmente ammaliati dal ciclo pittorico del Maestro delle Palazze, affreschi risalenti alla fine del XIII secolo. Prove riuscite prima della “rivoluzione” di Giotto.

Un rinascimento per il fruitore dell’arte, è quello messo in campo dal sindaco di Mon-tefalco, la senatrice Donatella Tesei. «L’85% dei biglietti unici per visitare i siti dei quattro Comuni della mostra, sono stati staccati qui, nel nostro Complesso Museale di San Francesco », spiega il sindaco Tesei che ogni giorno passa di qua per inebriarsi con gli affreschi di Benozzo Gozzoli e del Perugino che fino a domenica dialogheranno con i «Capolavori del Trecento «Questa mostra – continua il sindaco di Montefalco – è la dimostrazione che fare “Rete” è l’unica vera via da seguire per rilanciare l’Umbria e farla uscire dalla “crisi”, anche di immagine, che la vuole ancora terremotata, mentre la magnificenza dell’arte, il turismo culturale attratto dalle bellezze paesaggistiche, la grande qualità agroalimentare e l’industria manifatturiera che qui hanno una lunghissima tradizione, stanno dando sensibili segnali di rinascita e di sviluppo per il futuro». Il domani si scorge dal balcone montefalchese, la “terrazza dell’Umbria”, da cui Herman Hesse si sporse e scrisse estasiato: «Vicino o lontano non c’è sguardo che non sfiori una località antica, celebre, sacra...». Si torna all’alba: alle ore 5.30 dalla stazione di Perugia parte l’unico Frecciarossa che collega l’Umbria a Milano. Un treno anch’esso raro, ma troppo poco per raggiungere queste mete sacre e poter ammirare i suoi tanti capolavori.