Agorà

Antropologia. Umanesimo fra bionica e robot

Andrea Galli martedì 26 agosto 2014
Justin ha solo pochi anni di vita, ma si allena quotidianamente per raggiungere l’obiettivo per cui è nato: poter operare sui satelliti in orbita, per controllarli e alla bisogna ripararli. Agisce in base a comandi esterni, teleguidato, ma dovrà diventare sempre più autonomo. Un po’ come lo si vede già fare in cucina, dove è in grado di prepararsi da solo una tazza di caffè, spostandosi con le sue piccole ruote e afferrando tazza e cucchiaino con la sue manone d’acciaio. Molto ci si attende da lui, anche nelle sue prestazioni sulla Terra, perché è un pargolo speciale: fa parte di una nuova famiglia di robot umanoidi sviluppata dal Centro aerospaziale tedesco, una delle punte avanzate della robotica a livello mondiale.Justin è un piccolo ma sorprendente esempio di quella tecnologia che si avvicina a passi accelerati all’"umano": una frontiera affascinante e rivoluzionaria, spiega Angelo Montanari, del dipartimento di Matematica e informatica dell’Università di Udine, di cui fa parte anche la bionica. Ovvero «non più la sostituzione dell’uomo con il robot, ma uomo e macchina come sistema integrato, con l’obiettivo di impiantare all’interno del corpo umano dei dispositivi artificiali. Fra quelli correntemente in uso o in avanzata fase di sperimentazione, finalizzati al recupero di capacità percettive o motorie, trovano posto dispositivi per la stimolazione riabilitativa per la terapia del dolore cronico, le protesi utilizzate per compensare i canali neurali, gli impianti per la neurostimolazione, gli impianti cocleari, gli impianti retinici ecc.».Di questi avanzamenti scientifici e delle loro ricadute antropologiche si parlerà in modo approfondito a Stresa (Verbania) da domani a sabato, alla presenza di quasi duecento studiosi provenienti da tutta Italia: matematici, medici, biologi, filosofi e teologi. L’ambito è il Simposio rosminiano, l’appuntamento che si tiene ininterrottamente dal 1967, quando prese il via con il nome di "Cattedra Rosmini" per iniziativa del grande filosofo Michele Federico Sciacca, che voleva riportare appunto la voce di Rosmini nel dibattito culturale, e che continua a essere organizzato dal Centro internazionale di Studi rosminiani. A fare da anfitrione, oltre che a intervenire come relatore, sarà don Umberto Muratore, direttore del Centro internazionale. Una sorta di "rappresentante" ufficiale del beato Rosmini, il cui pensiero potrebbe apparire estraneo ai problemi sul tappeto: se ci fu una temperie in cui il beato di Rovereto visse e con cui si misurò fu quella dell’idealismo, lontana dall’exploit delle scienze e del positivismo di fine Ottocento. Ma, spiega don Muratore, per Rosmini «l’idealismo non è che una versione sofisticata del sensismo, perché le premesse erano identiche. L’idealismo prepara la strada al nichilismo, riduce la visione dell’essere ad un monismo naturalistico, fa della mente e delle idee che sono nella mente una cosa sola. L’unica differenza è che l’idealismo tenta di far uscire la realtà dall’idea, mentre il positivismo farà uscire le idee dalla materia».Da qui anche il grande interesse che Rosmini ebbe per le scienze e il suo sguardo su di esse, che, sottolinea sempre don Muratore, può tornare utile anche oggi: «Prendiamo le neuroscienze e l’identificazione da parte di molti scienziati del pensiero con la mente che lo pensa, o peggio ancora della mente con le sinapsi attraverso le quali essa si esercita. È un voler identificare elementi di essere che, direbbe Rosmini, sono "categoricamente distanti". È più ragionevole e chiara la soluzione rosminiana della ’sinteticità’: gli elementi fisici, atomici e subatomici sono in grado di manifestarci, ma non di creare, la presenza del sentimento, della vita, del pensiero».Il Simposio sarà focalizzato sul contributo che filosofia e teologia possono dare al rapporto fra uomo e tecnica. Ignazio Sanna, arcivescovo di Oristano e presidente del Comitato per gli studi superiori di teologia e scienze religiose, lo riassume in tre punti, che svilupperà in un’ampia relazione giovedì: «Il primo – dice – è ricordare di fronte a certo riduzionismo che l’uomo è un mistero e che non riusciremo mai del tutto a spiegare e circoscrivere: i perché nella vita umana superano le risposte, anche dal punto di vista scientifico. Il secondo è il contributo che può dare il concetto di libertà cristiana, fondato sull’uomo creato a immagine di Dio, che fa vedere sia i pregi che i limiti di questa libertà: limitata verso l’alto perché è una libertà partecipata, non assoluta, e limitata verso il basso per i condizionamenti della società e del tempo. Terzo, il concetto di dignità: l’antropologia cristiana scopre la dignità dell’uomo nel momento della sua indegnità. Un contributo fondamentale nel momento in cui la società è tentata in certi casi dal passare dalla cura della malattia, della debolezza o dell’infermità, alla sua selezione».Sembrerebbe di compiere voli pindarici o di saltare tra ambiti lontani e incomunicanti, ma non è così. Sempre Montanari, che parlerà venerdì su "Libertà, coscienza, macchine" evidenzia un’evoluzione, verrebbe da dire "umanistica", della ricerca sulla cosiddetta intelligenza artificiale: «Una delle acquisizioni più importanti degli ultimi decenni è la consapevolezza del ruolo cruciale che gli organi di senso svolgono nell’interazione dell’uomo col mondo e della conseguente impossibilità di un’intelligenza artificiale priva di "corporeità". Ciò ha portato all’abbandono di modelli astratti-disincarnati dell’intelligenza, quali quello alla base del famoso test di Turing, e allo sviluppo di un rapporto sempre più stretto tra intelligenza artificiale, "cervello senza corpo" e robotica, "corpo senza cervello". Per paradossale che possa suonare, per avvicinarsi all’intelligenza umana l’intelligenza artificiale deve diventare un’intelligenza incarnata».