Festival di Sanremo. Ultimo: «Canto illusioni e disillusioni della mia generazione»
Cosi Ultimo, al secolo Niccolò Moriconi da Roma, rispondeva l’anno scorso dopo la vittoria nella sezione Giovani, a chi lo paragonava a Eros Ramazzotti. Ma questo 23enne dal viso delicato di bimbo inquieto e dalla voce profonda e calda, dato per super favorito alla vittoria con la malinconica I tuoi particolari (ispirata alla fine del rapporto con la sua fidanzata), ha le carte in regola per seguire le orme del cantante che proprio vincendo nel 1986 con Adesso tu, spiccò il volo verso una grande carriera. Innanzitutto Ultimo, formatosi al conservatorio e passato poi all’hip hop, è uno capace di riempire gli stadi, come dimostrano i 30mila biglietti già venduti per il concerto del 4 luglio all’Olimpico di Roma, mentre le 18 date del suo nuovo tour, al via il 26 aprile da Eboli, sono sold out. In più il cantante fa tris: nell’attesa dell’uscita il prossimo 5 aprile del nuovo album Colpa delle favole, resta saldo al quarto posto dell’hit parade con l’album Peter Pan, in classifica da 52 settimane, è presente in decima posizione con il più recente Pianeti ed è quinto tra i singoli più scaricati con la canzone in gara a Sanremo. Carisma, penna cantautorale e bella presenza vocale (confermate ieri dal duetto col suo mentore e amico Fabrizio Moro) i punti forti che stasera potrebbero portarlo sul podio.
Come vive un ragazzo della sua età queste aspettative?
Rispetto all’anno scorso sento molta più pressione e cerco di viverla con leggerezza, di essere sempre lucido e di non far condizionare la mia musica dalle aspettative di persone che neanche conosco.
Lei ha deciso di portare un brano più classico che metropolitano per questa sfida.
Ho scelto di portare una canzone che nella sua semplicità è complessa, rimanendo comunque semplice. Perché innanzitutto odio il termine «impegnato » per le canzoni.
Ci spieghi meglio.
È un voler mettere le mani avanti e dire: «Questa è una canzone impegnata, attento a come la giudichi». Invece le canzoni non necessitano di spiegazioni. L’arte è arte, e ognuno la interpreta secondo i suoi sentimenti.
Lei come è arrivato al conservatorio?
Le maestre avevano detto che dovevano trovarmi qualcosa da fare perché ero molto nervoso in classe. Nella musica ho trovato uno sfogo.
Che ha trovato anche nell’hip hop, un genere più legato al disagio delle periferie?
C’è stato un contrasto tra quello che studiavo e quello che vedevo intorno a me dove vivevo, ma allo stesso tempo è stato quello la mia salvezza. Studiare qualcosa di classico, vivendo la realtà della vita, mi ha portato a scrivere in un certo modo. Avendo studiato le basi classiche della musica, so quello che faccio quando scrivo una canzone e quando suono, ma non mi metto il frac. Però non capisco perché i giornali devono sempre ripetere il quartiere da dove vengo, e per gli altri artisti no.
Teme i cliché?
Affascina il fatto che chi viene da un quartiere di cattiva fama faccia la scalata fino a Sanremo; la leggenda dell’americano che dal niente arriva a conquistare il mondo. In verità io conosco tanti ragazzi ai Parioli, che hanno una profondità grandissima, come pure amici del mio quartiere. L’importante è la persona, al di là del suo stato sociale.
Nel suo prossimo album lei parlerà di illusioni e disillusioni: quali sono le più pericolose per i suoi coetanei?
Il filo conduttore di Come le favole è raccontare le illusioni che svaniscono quando le tue ambizioni non si riescono a realizzare e ti fanno tornare con i piedi per terra. Qual è il mio antidoto? Continuare a fare le stesse piccole cose della vita, cercare di essere fedele alle abitudini di sempre, senza immergersi troppo nella vita artistica che ha ben poco a che fare con la vita vera.
Vita artistica che costa anche sacrifici e rinunce?
Io non ho un ancora trovato un equilibrio, spero di trovarlo nel tempo. La mia famiglia, compresi i miei due fratelli, mi appoggia. E ci sosteniamo l’uno con l’altro, come gli Addams.