Ci sono alimenti essenziali che sono diventati i veri compagni della nostra vita. L’olio d’oliva (e il suo albero) è uno dei più ricchi di tradizioni e di significati non soltanto nutrizionali, ma anche antropologici e simbolici. Forse soltanto il vino e il pane, che costituiscono con l’olio di oliva la «triade mediterranea» per eccellenza, possono sfoggiare un’analoga ricchezza di richiami e di simbolismi. Nulla a che vedere con gli altri oli e grassi alimentari che svolgono il loro ruolo minore di condimenti e di ingredienti in gastronomia, «poiché per olio si intende soprattutto il succo di oliva, mentre gli altri succhi sono chiamati oli per una somiglianza con quello» (Tommaso d’Aquino,
Summa Theologiae III, 29, 4). L’espansione dell’ulivo è dovuta al clima mite del Mediterraneo, dove è apparso progressivamente circa diecimila anni prima della nostra era, installandosi inizialmente a Oriente per poi estendersi, nel corso di svariati millenni, all’Occidente e al nord del bacino mediterraneo. Secondo gli archeologi la domesticazione dell’olio sarebbe cominciata circa 4000 anni prima di Cristo. Il commercio dell’olio appare già nell’età del bronzo: gli Ittiti dell’Anatolia se lo procuravano dalle coste dell’Asia Minore, mentre i faraoni di Egitto e i re della Mesopotamia lo compravano in Siria. Nei palazzi minoici di Creta, l’olio era depositato in grande quantità nei vasi chiamati
pithoi e nei palazzi micenei della Grecia continentale si sono ritrovati numerosi recipienti di olio e tavolette scritte menzionando il suo ideogramma (
elaion). Tale commercio era molto controllato, perché l’olio era già fortemente legato al potere sociale, economico e religioso. Nel secolo VI a. C. il magistrato e saggio greco Solone promulga leggi autorizzando gli Ateniesi a commerciare l’olio di oliva. Nel IV secolo Alessandro Magno conquista sia il Mediterraneo orientale sia l’impero persiano e il commercio si sviluppa ancor più. Durante i secoli susseguenti, a fronte della domanda crescente d’olio sia per l’alimentazione che per l’illuminazione, le cure, le pratiche sportive e religiose, si sviluppano nuovi metodi di produzione e si scrivono manuali tecnici, come quello del botanico greco Teofrasto, allievo di Aristotele, degli agronomi latini Catone e Plinio, come anche del cartaginese Magon. L’opera dell’impero romano faciliterà ancor più il commercio e la produzione, che diventerà quasi pre-industriale o semi-industriale in certe regioni di Spagna, Italia e Africa del Nord, per merito della Lex Manciana (II secolo) che incoraggia le piantagioni e l’irrigazione nei domini imperiali. La caduta di Roma e l’estensione del cristianesimo comportano cambiamenti nelle modalità di consumazione, nelle zone di produzione e nei circuiti commerciali, ma la coltivazione dell’ulivo e del suo frutto continua a crescere. A partire del 600 si apre un’era di espansione continua che porta l’ulivo alla massima estensione territoriale, in seguito alla crescente demanda di una società sempre più industrializzata, per saponerie, tessili e la stessa meccanica. Naturalmente con la scoperta del Nuovo Mondo gli spagnoli introducono l’ulivo nelle colonie americane, come Argentina, Messico, Perù (già nel 1560), Cile e California. Così è nel Novecento che l’ulivo conosce forse la massima estensione, che oggi più o meno si perpetua. Una delle caratteristiche indiscusse dell’ulivo – che gli ha dato speciale prestigio, valore e crescente diffusione – è quella secondo cui, a differenza di tutti gli altri oli alimentari di origine vegetale (che provengono da semi) il vero olio d’oliva proviene da un frutto. Ciò determina ulteriori specificità che costituiscono altrettanti motivi di superiorità: un frutto, a differenza del seme, è ricco d’acqua, cosa che consente di estrarre l’olio con mezzi puramente naturali. L’aggettivo «vergine» con cui viene qualificato l’olio di oliva significa proprio che l’olio è estratto dalle olive con strumenti semplici e senza mescolamenti. È indubbio dunque che l’olio extravergine d’oliva possa essere considerato un prodotto vicino alla natura, molto più «naturale» degli oli di semi. Di certo, l’industria farmaceutica non è in grado di riprodurre in pillole i benefici «naturali» dell’olio extravergine di oliva. L’ulivo è una pianta longeva, risparmiatrice, ecologica, straordinariamente resistente alle varie avversità della natura, capace di rinascere dalle proprie radici in un modo che gli antichi greci definivano quasi miracoloso. L’ulivo è un albero che ha bisogno di poca acqua, che la sa conservare e utilizzare al momento opportuno, come il cammello nel regno animale. L’ulivo è una pianta «eliofila» per eccellenza, cioè amante della luce e del sole, quindi è stato assunto come simbolo della saggezza e del successo. I Greci ricompensavano gli eroi e i vincitori dei giochi olimpici con rami d’ulivo e con grandi vasi d’olio vergine. L’ulivo è anche una delle piante più citate nella Bibbia: la colomba liberata da Noè dopo il diluvio ritorna con un ramoscello di ulivo e Giacobbe benedicente ricopre di olio d’oliva la pietra di Beth-El dopo la visione folgorante della scala celeste. La Chiesa fondata da Gesù Cristo, nome che significa «l’unto di Dio», all’ulivo e all’olio affida il nuovo valore di essere simbolo della pace celeste, della riconciliazione, della benedizione e del sacrificio. L’olio di oliva poi è costituito materia della comunicazione della vita divina in quei sacramenti che fanno riferimento al sacerdozio e alla sacra unzione «perché l’olio d’oliva ha una funzione lenitiva e profondamente penetrativa, e inoltre tende a diffondersi» e indica «la purezza della coscienza» (
Summa Theologiae III, 29, 4). In riconoscimento di questi valori spirituali, mutuati da quelli naturali, anche sulla bandiera delle Nazioni Unite la corona di rami d’ulivo che circonda il globo simboleggia la ricerca della pace universale che può dare unità alla famiglia umana. Il modo in cui le varie culture e la Bibbia affrontano il tema dell’olio mette fortemente in luce l’importanza di questo elemento fondamentale nell’esistenza umana. Lungi dal cedere al digiuno come fuga della realtà oppure di appiattire la vita umana sul solo mangiare e bere, la Bibbia tende a mostrare che la salvezza dell’uomo non può assolutamente prescindere dalla razionale soddisfazione naturale e sensoriale degli appetiti e dei bisogni più elementari della persona tramite quei compagni della nostra vita che sono il pane, il vino e l’olio di oliva. Dio stesso ha creato il mondo in modo tale che ogni uomo potesse avere un’alimentazione appropriata, sufficiente e giusta mediante il lavoro. La mancanza di cibo o una sua ingiusta distribuzione non derivano da fatalità o da un arbitrario volere divino, ma sono una drammatica conseguenza di un’amministrazione irresponsabile della Creazione da parte dell’uomo. Ciò significa che il problema della fame può essere risolto dagli sforzi dell’uomo, se persegue un’alimentazione genuina e di sempre migliore qualità e crea sempre nuove vie per ottenere la quantità di cibo necessaria per tutti. Sicuramente c’è un futuro per coloro che puntano sul genuino e sul naturale, sulla tipicità, il biologico, l’ecologico, il legame con il territorio, le produzioni di grande qualità, e in definitiva sul ritorno alla terra (
magna parens). Non per sfruttarla come materia inerte e poi abbandonarla, ma per coltivarla e viverla e perpetuarsi nella sua fecondità materiale, sensibile e spirituale. L’ulivo e l’olio, nella loro lunga e fruttifera compagnia con l’essere umano, possono essere un’icona di un tale nuovo o rinnovato programma. Deve emergere a tutti i livelli la sensibilità ai valori di eguaglianza degli esseri umani che che il messaggio di Cristo ha insegnato; in tal modo tutti possono essere coinvolti – con la loro cultura, mentalità, tradizioni – in una lotta che richiede l’unione di ogni forza disponibile. Il Vangelo sottolinea che il problema della fame sarà risolto pienamente solo in chiave escatologica, cioè «cercando anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia». Ciò comporta la capacità di andare incontro a sacrifici e rinunce perché nessuno sia privato dell’essenziale. Una più equa distribuzione di cibo, attuata con spirito di fede, di speranza e di carità, oltre che anticipare già nell’oggi i vantaggi del Regno dei cieli, ne creerebbe le premesse indispensabili, dando a un maggior numero di persone la possibilità di svolgere una partecipazione attiva per lo sviluppo.