L'analisi. Il piccolo schermo invaso dai serial killer
L'attore danese Mads Mikkelsen è Hannibal Lecter nella serie televisiva "Hannibal"
Nel 1987, due anni prima dell’esecuzione di Theodore Robert Bundy sulla sedia elettrica nella Raiford Prison di Starke, in Florida, Canale 5 trasmise Il mostro, miniserie che raccontava in due puntate la vita di Ted, come tutti lo chiamavano, autore di almeno una trentina di omicidi di giovani donne avvenuti negli Stati Uniti fra il 1974 e il 1978. Gli spettatori, catturati dalla trama avvincente (la realtà, si sa, supera sempre la fantasia), allora non immaginavano certo che, dopo Ted Bundy, negli anni a venire un numero imprecisato di serial killer avrebbe fatto irruzione nelle diverse reti tv, diventando un genere televisivo vero e proprio. Un genere che, peraltro, si specializza sempre di più, offrendo spesso trame improbabili e immagini truculente (o pulp, come si dice per renderle forse meno sgradevoli) anche in orari in cui non dovrebbero andare in onda.
I titoli sono tanti e, facendo i dovuti confronti con la cronaca, sembra quasi che i serial killer siano scomparsi dalla vita reale per rifugiarsi tutti nelle fiction. Dove, tra l’altro, a volte godono del privilegio di avere, grazie alla capacità e alla furbizia degli sceneggiatori, anche il favore di una parte del pubblico, più affascinato dalle loro gesta che da quelle degli investigatori per catturarli: «Queste persone sono come noi, ci somigliano. Commettono azioni folli ma non sono pazzi. Sanno distinguere il bene dal male e conoscono la natura e le conseguenze delle loro azioni. Penso che questo sia il motivo per cui ne siamo tanto affascinati. Avvertiamo un confine sottile e ci chiediamo se non saremmo in grado di attraversarlo» ha dichiarato qualche tempo fa in un’intervista John Douglas, agente dell’Fbi andato in pensione con migliaia di casi risolti all’attivo che con questo tipo di criminali ha fatto i conti per tutta la vita.
Non a caso, uno dei primi serial killer televisivi è stato Dexter Morgan, protagonista della serie che porta il suo nome (Dexter, trasmessa prima da Fox Crime e poi da Rai 4) nonché “mostro” nascosto sotto le sembianze di un ematologo della polizia che riesce a convogliare la sua sadica violenza contro chi “se lo merita”, cioè i criminali che sono riusciti a sfuggire alla giustizia. Dexter è insomma quel che si dice un insospettabile e per questo finisce per essere irresistibile nonostante l’efferatezza dei suoi crimini. Anche Hannibal Lecter, lo psichiatra cannibale reso celebre dall’interpretazione di Anthony Hopkins ne Il silenzio degli innocenti tratto dal romanzo di Thomas Harris e poi arrivato in tv con altre storie (su Italia 1 e Top Crime) è crudele e spietato ma innegabilmente affascinante sia nella versione cinematografica sia in quella televisiva. E lo stesso si può dire per molti altri serial killer delle serie tv, siano essi personaggi di fantasia sia ispirati a persone realmente esistite dal Norman Bates di Bates Motel (in onda su Rai 2, spiega come l’indimenticabile protagonista di Psycho, inventato dalla penna di Robert Bloch, sia diventato uno squilibrato assassino) al Paul Spector di The Fall (un uomo apparentemente comune, con una famiglia e un lavoro, che uccide perché non può fare a meno di farlo; è stato trasmesso da Sky Atlantic) e ai tanti spietati assassini di Criminal Minds, la serie sui serial killer per eccellenza (Fox Crime e Rai 2) che recentemente, nel suo “spin off” Criminal Minds Beyond Borders, sulla seconda rete Rai ha proposto un episodio intitolato Il mostro con l’Fbi alle prese con due omicidi che rispecchiano nientemeno che il modus operandi del cosiddetto mostro di Firenze.
Questo ci porta dritti a un altro tema legato a certe serie tv: a prescindere dal gusto personale che porta molti ad amare questo genere di prodotti e molti altri ad evitarli con cura, c’è il rischio che possano essere dannosi, come qualcuno ha più volte ipotizzato, e istigare alla violenza? Come spesso accade, la verità sta nel mezzo. Lo sostiene lo psicologo Massimo Buttarini nel libro Serial killer: un approccio psicologico-giuridico: «Non tutti si identificano con le vittime ma una parte del pubblico di spettatori si identifica con il male che gli autori dei crimini incarnano. Soprattutto in fasce di età particolarmente a rischio, come quella adolescenziale, il rischio di identificarsi con modelli negativi sui quali proiettare la propria rabbia e la propria smania di ribellione è molto alto, a maggior ragione quando a usufruire di certi contenuti mass mediatici sono ragazzi dalla personalità già di per sé problematica». Lo psicologo aggiunge: «Mi sto riferendo a minori, certamente, ma anche a personalità disturbate che di fronte a una certa spettacolarizzazione potrebbero venire influenzate negativamente». Questo non vuol certo dire che chi guarda le “gesta” dei serial killer in tv lo diventerà a sua volta ma solo che non bisogna mai abbassare la guardia rispetto a certi argomenti e, soprattutto, al modo in cui vengono raccontati dalla televisione.
CRIMINAL MINDS. La fortunata serie televisiva americana di genere poliziesco, ideata da Jeff Davis e trasmessa dal 2005