Agorà

La mostra a Roma. Tutti gli equivoci sull’epica di Tolkien

Francesco Marzella mercoledì 3 gennaio 2024

J.R.R. Tolkien

Ancora Tolkien. Della mostra tolkieniana presso la Galleria nazionale di arte moderna e contemporanea di Roma non si finisce di parlare, spesso rimanendo alla superficie di una contesa politica alimentata da entrambi i fronti. Quale, però, il senso e il valore di questa iniziativa? La prima parte, è una valida introduzione all’“uomo, il professore e l’autore”, come prevede il titolo stesso della mostra. Si avvale di un racconto ben documentato che accompagna i materiali esposti – si inizia col baule usato dalla madre dello scrittore, Mabel, per il viaggio in Sudafrica – bilanciando efficacemente i tre ambiti, senza mai presentarli come distinti. Ne emerge un aspetto in particolare, forse non così scontato, magari non il primo che ci verrebbe in mente pensando al Professore curvo sulla scrivania nella solitudine del suo studio: Tolkien uomo di relazioni, tanto nell’ambito domestico quanto in quello professionale.

A iniziare dal fondamentale rapporto con la moglie Edith – un legame intenso, vissuto senza idealizzazioni romantiche, nonostante il matrimonio sia arrivato dopo un fidanzamento avventuroso e inizialmente ostacolato – e quello coi quattro figli John, Michael, Christopher e Priscilla, per poi proseguire con gli amici e colleghi di Oxford – notevole il colpo d’occhio dei ritratti che illustrano il network accademico di Tolkien – e infine con i lettori, alle cui lettere Tolkien non mancava di rispondere. La narrazione – fin qui niente affatto politicizzata, nonostante i timori della vigilia – evita pure di scivolare nell’agiografia, non tacendo, per esempio, di una produzione accademica «meno ricca di quanto avrebbe potuto essere». E in effetti la lista di pubblicazioni accademiche non è impressionante, tantomeno ai tempi del publish or perish, eppure i saggi sul Beowulf o sulle fiabe, come anche le edizioni di capolavori come Sir Gawain and the Green Knight, si leggono ancora con piacere e non senza ammirarne l’acume critico, né va dimenticato il contributo nella riforma dei curricula umanistici di Oxford, per cui lo studio della linguistica non doveva essere scisso da quello della letteratura, e viceversa. Certo, niente di paragonabile all’influenza avuta da scrittore, di cui un “muro” di edizioni in 52 lingue diverse del Signore degli Anelli offre una testimonianza d’effetto nella sala centrale della mostra.

Vestiti in esposizione alla mostra su Tolkien - Emanuele Antonio Minerva/Ministero della Cultura

Convincono meno le ultime due sezioni, quella sulle opere d’arte ispirate dall’universo creato da Tolkien e soprattutto l’ultima, che frettolosamente si occupa di Tolkien come fenomeno pop, mettendo insieme, fra le altre cose, i Led Zeppelin e i film di Jackson, senza che il visitatore sia più accompagnato dal racconto puntuale dei pannelli che aveva scandito la prima parte. L’effetto rischia di essere quello di un’appendice non esattamente imprescindibile.

Nel mezzo, la sezione sul rapporto fra Tolkien e l’Italia, che racconta tanto i due viaggi del Professore, quanto – ed è questa invece la parte in cui si colgono dei toni polemici – il faticoso percorso che ha portato alla pubblicazione della prima traduzione italiana. Ci si imbatte allora nella stroncatura di Elio Vittorini per Mondadori, messa bene in evidenza (anche se la lettera da cui è tratta contiene anche un’apertura almeno alla pubblicazione del primo volume), e se si può parlare di «una storia a lieto fine», come recita il titolo di un pannello, sarebbe principalmente grazie all’editore Rusconi, che si avvaleva di collaboratori come Alfredo Cattabiani ed Elémire Zolla. Anche in Italia Tolkien ebbe immancabilmente successo, «in barba ai perduranti dubbi della critica impegnata e militante», come non si manca di sottolineare.

Eppure, non si può non far iniziare proprio con quell’edizione il fenomeno tutto italiano della rivendicazione di Tolkien da parte della destra, che ora stupisce e confonde anche i colleghi d’oltremanica. La prefazione di Zolla invitava a una lettura tutta in un verso della trilogia, finendo per presentarla come un’opera disseminata di archetipi che parla «per simboli e figure». Se da una parte si pretendeva almeno «la metafora di una qualche attualità» (che Vittorini non riscontrava in Tolkien), dall’altra si vedeva nel Professore solo un cantore dei valori d’un tempo o addirittura un alfiere della Tradizione, con tutte le storture del caso.

La temperie culturale in cui vide la luce la traduzione italiana del Signore degli Anelli – come pure la sua pressoché immediata politicizzazione – viene ora ricostruita e approfondita anche in un agile e pregevole studio di Velania La Mendola (Tolkien eIl Signore degli Anelli.Storia editoriale di un capolavoro, Luni editrice, pagine 144, euro 20,00), che nelle pagine conclusive ricorda opportunamente come, almeno nelle parole dell’autore, quella di Frodo e compagni sia una storia che «non ha intenti allegorici, generali, particolari, o di attualità, morali, religiosi o politici».

Tolkien però è stato (ed è) frainteso e tradito tanto da chi ne ha dato una lettura forzatamente ideologica, quanto da chi vede nella sua opera solo mera evasione, snobbandola (o magari apprezzandola, come nel caso di almeno una fetta dei suoi lettori) proprio per questo motivo. Quella di Vittorini non fu l’unica bocciatura e spesso affiora negli altri referaggi per le case editrici italiane un dubbio di fondo, che si tratti cioè di «un’invasione nel mondo degli adulti di fantasie infantili». Se da una parte questa perplessità – che ci parla dell’altro grande equivoco su Tolkien – si spiega anche con una maggiore refrattarietà della critica italiana al fantastico e al soprannaturale, dall’altra emerge una difficoltà nel voler a tutti i costi costringere Tolkien in un genere letterario preciso. Anche parlare di fantasy – genere con cui poi ci si è illusi di risolvere la questione – finisce per favorire ulteriori malintesi. L’unica categoria che si addice alla subcreazione tolkieniana resta piuttosto quella indicata dall’autore stesso, il mito, che può eludere ideologie ed etichette restituendoci semplicemente un Tolkien «grande narratore di imprese epiche», così come ha voluto ricordarlo anche papa Francesco nella sua omelia di Natale.

Roger Garland, Middle Earth - Ministero della Cultura