Agorà

Il personaggio. Tutti contro Blatter, il dittatore del gol

Massimiliano Castellani mercoledì 2 luglio 2014
C’è una battutaccia che circola nell’universo-football che dice: «Negli ultimi cento anni ci sono stati più Papi che presidenti della Fifa». Per forza, l’inventore della Coppa del Mondo, Jules Rimet, se ne stette sul trono di re del pallone mondiale dal 1921 al 1954. Un decennio di meno di permanenza per il suo successore, il brasiliano Joao Havelange (24 anni al potere). E adesso, siamo sotto il regime del "Colonnello di Visp" (Svizzera) Sepp Blatter, che dopo 16 anni di non proprio onorata carriera ha annunciato con largo anticipo che nel 2015 si ricandiderà alla presidenza della Fifa. E come negare un altro mandato a questo 78enne “di belle speranze” quasi sempre personali? In Brasile il governo del calcio mondiale ha toccato i massimi storici di impopolarità e per le frange più accese del movimento "Não Copa" (la prima volta nella storia che una Coppa del Mondo viene contestata) il nome di Blatter è in cima alla lista dei nemici giurati. I brasiliani, e con loro praticamente tutti i tifosi e la larga maggioranza delle federazioni, detestano lo spirito spregiudicato del più grande globalizzatore del pallone. Blatter è l’uomo del gigantismo impossibile, uno che nel suo curriculum ha fatto incidere a caratteri d’oro le edizioni dei Mondiali del 2002 e quelle del 2010. «Siamo riusciti per la prima volta a portare il grande calcio in Asia, con Corea-Giappone e nel continente nero, in Sudafrica», ripete con fierezza dittatoriale. Due miracoli dell’urna, in un Comitato Esecutivo Fifa in cui tra i 22 membri l’età media sfora di gran lunga le sessanta primavere. Questa oligarchia sempre in odore di corruzione, vota e decide in rappresentanza degli associati di 209 Paesi (l’Onu ne ha 193). Il veto finale, naturalmente spetta sempre a lui, al Colonnello svizzero che per il disturbo si ritaglia uno stipendio da un milione di euro l’anno, ma nessuno crede che si "autoelemosini" così poco. Gli interessi economici in gioco, per kermesse iridate allargate a 32 selezioni come Brasile 2014, sono troppi e assai oscuri. L’importante è che il denaro circoli, dice l’uomo che sbandiera di "lottare in campo e fuori per il rispetto del fairplay". Di sicuro Blatter non conosce e non ha mai combattuto il fairplay finanziario. Al Brasile ha imposto il "modello" (fallimentare pure quello) di Italia ’90: 12 sedi, con annessi stadi futuristici per un’impresa edile che, tra Arene restaurate e realizzate ex novo, ha richiesto investimenti per oltre 3 miliardi di euro. Il giocattolo Brasile 2014 è lievitato fino a 13 miliardi di euro (alla fine si stimano che saranno 16) con ritorni in cassa che fanno già tremare i polsi e la Borsa di San Paolo. Ma l’uomo solo al comando del football non si ferma, e anzi continua a fare proseliti in ogni angolo della terra. Specie dove a fianco a un campo di calcio ci sia almeno un pozzo di petrolio o una miniera di diamanti. Nel 2006 il Mondiale stava già per traslocare in Sudafrica e per un solo voto si finì a giocare in Germania, che peraltro rimarrà una delle edizioni più sobrie e riuscite sul piano organizzativo. Quella sudafricana slittata al 2010, al di là dell’onda emotiva legata alla presenza del vecchio Madiba Nelson Mandela, resta invece una delle più anonime e grazie alla solita sciagurata politica Fifa, ("gigante è più bello"), ha lasciato voragini di debiti. Per i cinque nuovi stadi - dei quali Blatter pretese la costruzione nelle zone bene e sfarzose delle città -, il Sudafrica ha speso 3,5 miliardi di dollari. Il nuovo stadio di Città del Capo (55mila posti, costato 600 milioni di dollari) nell’elegante quartiere di Green Point è l’eredità peggiore lasciata dalla Fifa. Solo per il mantenimento dell’impianto in questi quattro anni ci sono voluti 32 milioni di dollari e l’Ajax di Cape Town che ci gioca sta per abbandonarlo per tornare nel vecchio stadio, a 20 km di distanza, nella popolarissima zona di Atlhone. Perché è lì che ha i suoi tifosi e non ne può più di partite disputate davanti a 400 spettatori. Il rischio di spalti deserti è quasi scontato in almeno la metà delle sedi mondiali brasiliane. Ma non sono queste le argomentazioni che possono fermare e tanto meno scoraggiare Blatter che ha già tirato fuori da sotto il basco due location da fantacalcio: la Russia dell’amico Putin per il 2018 e poi un bel tackle nel deserto con Qatar 2022. Mafia russa e sceiccato mediorientale sono già a lavoro e nessuno osa fiatare contro il Presidentissimo, neppure dopo l’ennesimo scandalo delle mazzette d’oro per la grande utopia del Qatar. Un maneggio da oltre 5 milioni di euro in tangenti finite nelle mani dei soliti noti. Un clan diretto dal fido Mohammed Bin Hammam, per dieci anni tribuno blatteriano all’Asian Football Confederation e sul quale penderebbe una squalifica a vita per corruzione. Dettagli no? Ora, nessuna federcalcio in grado di intendere e di volere vorrebbe giocare in Qatar, dove da giugno a luglio la temperatura sfiora i 50 gradi. Da Doha garantiscono stadi ultramoderni con climatizzazione interna e quella tecnologia che adesso ha stregato Blatter, il quale da uomo per tutte le stagioni va fiero delle sue trovate: dallo spray evidenziatore, dato in dotazione agli arbitri, alla moviola in campo che debutterà a Euro 2016 in Francia.Pensieri distanti dal Brasile che ha due obiettivi onirici per il 14 di luglio (il giorno dopo la finale del Maracanà): la vittoria della Coppa da parte della Seleçao e limitare al minimo le perdite economiche dell’organizzazione. Il gioco è sempre lo stesso: le spese vive e i rischi a carico del Paese organizzatore, gli applausi e i bonifici alla Fifa che dal Sudafrica tornò con un bottino di 3 miliardi di dollari.