Riletture. È tutta un’altra Cappuccetto
Eh no, non ce l’hanno raccontata giusta nemmeno da bambini... Passi il fatto che di Cappuccetto rosso esistono due versioni molto popolari – la prima e più truculenta trascritta nel 1698 da Charles Perrault (finisce col lupo che divora la bambina), l’altra stampata con piccole varianti tra 1812 e 1857 dai fratelli Grimm, i quali preferirono inserire il lieto fine del cacciatore che apre la pancia della bestia cattiva e ne fa uscire nonna e nipotina ancora vive. Passi dunque tale doppio finale: ma nessuno ci aveva mai spiegato tutti gli altri segreti non detti della celeberrima favola, forse la più nota al mondo.Ci ha pensato Yvonne Verdier, etnologa e sociologa francese di cui ora esce in Francia largamente postumo (la studiosa è morta anzitempo nel 1989) un libretto che – a parte l’opera principale dedicata a un villaggio della Borgogna – forse costituisce il gioiellino della sua vita e che tuttavia finora era apparso soltanto come articolo in una rivista per specialisti nel 1978. Cos’ha fatto dunque la Verdier nel suo Le petit chaperon rouge dans la tradition orale (Editions Allia, pagine 76, euro 6,20)? Anzitutto ha ascoltato le versioni popolari della fiaba raccolte alla fine del XIX secolo da vari etnografi in diverse regioni francesi, poi le ha comparate; e in questo modo ha trovato – scrive – «motivi che sono stati completamente messi da parte dalla tradizione letteraria».Sono due le varianti – generalmente sconosciute – su cui l’etnografa appunta soprattutto la sua attenzione. La prima riguarda la domanda che il lupo rivolge a Cappuccetto all’inizio della fiaba, allorché la bambina s’inoltra nel bosco: «Dimmi, Cappuccetto, quale strada prenderai: quella degli aghi o quella delle spille?». Sembra un gioco di parole, una sorta di caccia al tesoro, o forse un trabocchetto che la scaltra bestia tende all’ingenua vittima, allo scopo magari di spingerla sulla via più lunga in modo da aver il tempo per arrivare per prima dalla nonna e papparsela «in un sol boccone». Un dettaglio comunque, che sia Perrault sia i Grimm hanno giustamente tralasciato...Non così però la pensa la Verdier, secondo cui «questi dettagli non sono assurdi, ma costituiscono un linguaggio» ben noto nel mondo contadino dell’Ottocento. In quel contesto apprendere a cucire era un passo indispensabile del transito verso l’età adulta, mentre il dono di dozzine di spille era un segnale di corteggiamento da parte dei ragazzi... Le spille servono a farsi belle, anche ad acconciarsi; gli aghi simboleggiano invece il lavoro – non a caso in certe versioni Cappuccetto precisa che per strada «li raccoglierà per portarli alla nonna», donna di casa e ricamatrice. Insomma, i due oggetti ugualmente puntuti e pronti a ferire (il tema del sangue e della pubertà femminile torna anche nel colore del vestito della bambina, pur se si tratta di un particolare aggiunto dal solo Perrault) indicherebbero due vie nel contempo simili – ambedue gli utensili servono infatti per l’abbigliamento – ma anche contrapposte, l’uno essendo adatto soprattutto alle ragazze intente a farsi belle e l’altro alle donne più anziane dedite alle cure domestiche.Il secondo particolare presente in tutte le versioni orali rafforza tale ipotesi di una contrapposizione generazionale nascosta nella fiaba. Si tratta della variante secondo cui il lupo, travestito da vecchina, invita a ristorarsi Cappuccetto appena giunta nella casa della nonna: «Mangia, mangia, sarai stanca...»; ma quello che si trova in tavola è in realtà un pezzo dell’ava! Né basta: dopo l’inconsapevole pasto antropofago, secondo le versioni popolari Cappuccetto si corica con la nonna, scoprendo però – grazie alle rituali domande («Che occhi grandi che hai...», eccetera) – che non si tratta affatto della sua parente; allora con una scusa fugge dalla casa, legando a un albero la corda con cui il lupo le aveva assicurato la caviglia proprio per impedirle di scappare. Corre e corre fino al fiume, che alcune lavandaie la aiutano a guadare stendendo per lei i panni ben tesi sopra la corrente; anche il lupo che la insegue vorrebbe fare lo stesso, ma le lavandaie stavolta lo lasciano cadere nell’acqua, dove lui affoga miseramente.
Saremmo perciò di fronte a una favola ben diversa da quella che pensavamo di conoscere a memoria, attribuendole una morale di semplice avvertimento dai pericoli della vita... Certo: può essere che Perrault e i Grimm abbiano semplicemente depurato la storia dai retaggi cannibaleschi e macabri che avrebbero impaurito il piccolo pubblico delle fiabe. Ma secondo la Verdier (che giustamente ricorda come di vicende non meno crudeli siano pieni i racconti per l’infanzia, dalla Bella addormentata ad Hansel e Gretel) la chiave interpretativa è un’altra: la storia di Cappuccetto rosso tramanda il simbolismo di un vero e proprio «pasto sacrificale» in cui una generazione «incorpora» la precedente, preparandosi a continuarne la linea procreativa. I vecchi devono scomparire, per lasciare il posto ai giovani; e quella del lupo è in tal senso una funzione provvidenziale, da «mediatore» della vita – e non a caso, detto per inciso, si tratta di un personaggio maschile.L’analisi dell’etnologa Verdier si addentra poi in molti altri particolari, dal contenuto del cestello di Cappuccetto Rosso (che fine fa davvero?) al significato simbolico della fuga dalla casa nella foresta, paragonata a una nascita – o rinascita. Ma può essere sufficiente fermarci ai dati principali, che secondo la studiosa francese bastano ad accreditare un’ipotesi: la favola narra un percorso iniziatico tutto femminile nel quale – da una parte – la perdita e l’acquisto delle facoltà riproduttive mette le donne di età diverse in contrasto tra loro, ma – dall’altra – stabilisce l’ordine preciso delle tecniche (prima il cucito, poi la cucina, quindi la lavanderia) che permettono alle donne di addomesticare a loro favore la società contadina tradizionale e maschile, ovvero la belva divoratrice della nonna. Una favola tutta «matriarcale», insomma, la cui morale suona ben diversa dal banale «attenti al lupo» che siamo soliti trarre da Perrault o dai Grimm.