Storia. Tutta la verità su Feletti, l'inquisitore che autorizzò il rapimento di Mortara
Una scena di “Rapito”, il film di Marco Bellocchio su caso Mortara: al centro, Fausto Russo Alesi
Fu «quasi un domenicano spagnolo del Seicento trovatosi per sbaglio a vivere nell’Italia dell’Ottocento». È l’immagine molto singolare con cui lo storico Lucio Biasiori descrive la vita di Pier Gaetano Feletti (1797-1881), l’ultimo inquisitore pontificio di Bologna sotto il regno di Pio IX. Si tratta infatti del frate domenicano che salì all’onore delle cronache internazionali nell’Italia risorgimentale per aver autorizzato la sottrazione, nel 1858, di Edgardo Mortara (1851-1940) alla sua famiglia di origine ebraica per essere educato al cattolicesimo in forza del Battesimo ricevuto da neonato, grazie alla sua balia, perché in pericolo di vita. E un libro con una dovizia di materiale documentario in parte sconosciuto (è stato realizzato grazie all’accesso alle fonti dell’Archivio del Dicastero per la dottrina della fede desecretate nel 1998) ritorna sui fatti del “caso Mortara” ma racconta soprattutto chi è stato l’ultimo inquisitore dello Stato della Chiesa a Bologna. Ricoprì tra l’altro questo incarico nelle città pontificie di Faenza, Forlì e Pesaro. Come si direbbe in questi casi: semel inquisitor, semper inquisitor. A firmare questo testo monumentale (Editrice il Nuovo Diario Messaggero, pagine 392, euro 36,00) dal titolo L’inquisitore assolto. Biografia e atti del processo penale a carico di padre Pier Gaetano Feletti OP imputato di rapimento del fanciullo ebreo Edgardo Mortara (18 gennaio-16 aprile 1860) è lo studioso Andrea Ferri. Il volume in questione ci riporta idealmente al film di Marco Bellocchio, per molti aspetti riuscito anche se non privo di qualche falsatura e sbavatura rispetto alle fonti storiche, Rapito del 2023 e ci riconduce in fondo all’interpretazione magistrale che proprio del domenicano fra’ Feletti ne ha fatto l’attore Fabrizio Gifuni. Tra i meriti della pubblicazione c’è soprattutto quello di mettere quasi in una lettura sinottica e quindi non unidirezionale i testi dello storico ebreo David Kertzer (senza dimenticare i contributi di Marina Caffiero) sul “caso Mortara” ma anche di riportare alla luce il volume (edito da Mondadori nel 2005) di Vittorio Messori su cui ruota come fonte primaria proprio la pellicola di Bellocchio: «Io, il bambino ebreo rapito dal papa. Il Memoriale inedito del protagonista del “caso Mortara” ». Al centro di questo testo vi è soprattutto la ripubblicazione degli atti del processo che subì fra’ Feletti per il “rapimento” di Mortara e da cui ne uscì assolto per aver rispettato le leggi della Stato di allora. Grazie a questa nuova documentazione possiamo scoprire la verità processuale che diede ragione all’ex inquisitore ma soprattutto ci possiamo fare un’idea diversa della verità storica. E non è un caso che lo storico domenicano e postulatore generale delle cause dei santi dell’Ordine dei predicatori, fra’ Massimo Mancini, presentando il testo di Ferri rievochi del suo illustre confratello Feletti questo aspetto: «Un religioso serio e fedele agli impegni che gli furono affidati». Tra i pregi di questa ricerca c’è anche quello di fare emergere le conversioni volontarie e non forzate al cattolicesimo di molti ebrei e protestanti nelle legazioni pontificie emiliano-romagnole. Grazie a queste pagine si scopre non tanto l’immagine tetra e giudicatrice che quasi ci fa tornare con la mente al Don Carlo di Giuseppe Verdi la figura del grande inquisitore nella Spagna di Filippo II ma quella di un uomo, fra’ Feletti, originario di Comacchio, che rispettò le leggi del suo tempo e, da autentico domenicano e fedele al garantismo su cui si è sempre retto nelle sue linee generali il Sant’Uffizio, fu soprattutto un «guardiano del gregge». Prendendo in mano questo testo si rimane impressionati dalla testimonianza di Feletti. Come questa: «Questo mio arresto lo riconosco proveniente da un’autorità incompetente, come sacerdote regolare, e come apertamente incaricato dal Sommo Pontefice all’Inquisizione di Bologna». Il padre Feletti rimase in carcere dal 2 di gennaio al 16 di aprile 1860. Il processo si concluse con l’assoluzione dell’imputato in quanto la “ablazione” era stata «un fatto di Principe» ossia un atto di un governo legittimo riconosciuto dalle potenze internazionali. A seguito della vicenda giudiziaria, il domenicano si trasferì a Roma rimasta ancora sotto il regno di Pio IX. Qui la prima cosa che fece fu visitare il piccolo Edgardo Mortara, con cui rimase sempre in rapporti di forte amicizia. Nella Città Eterna ricoprì gli incarichi di priore di Santa Maria sopra Minerva. La morte colse l’ultimo inquisitore di Bologna il 4 giugno 1881 a Roma.