Agorà

Società. Una guida per salvarci dal turismo di insostenibile

Leonardo Servadio giovedì 19 luglio 2018

Venezia è presa d’assalto ogni giorno da migliaia di visitatori. Simbolo di un turismo insostenibile

Tourists go home! Turisti andatevene! «È una delle scritte comparse sui muri di Venezia e di Barcellona. L’afflusso dei turisti per molti è diventato un peso eccessivo – spiega Chiara Rabbiosi del Centro Studi Avanzati sul Turismo dell’Università di Bologna – perché provoca un aumento dei costi immobiliari e viene visto come motore di precariato in ambito lavorativo». È il turismo insostenibile: un fenomeno per rispondere al quale a fine aprile 2018 è nata la rete Set (Sud Europa di fronte alla Turistizzazione): da Valencia a Venezia, da Lisbona a Malta molte città stanno cercando di correre ai ripari per difendere identità e modi di vivere stravolti dall’arrivo di flussi imponenti di visitatori occasionali, che agli occhi dei residenti paiono simili a cavallette che, attratte dalle peculiarità del sito, finiscono per eroderle poiché le trasformano in oggetti di consumo. Eppure da tempo, almeno da quando nel 2004 è stato pubblicato il Codice dei beni culturali e del paesaggio (il cosiddetto Codice Urbani), è entrata in circolo l’idea di valorizzare i pregi artistici, paesistici, architettonici: non solo di conservarli. E che cosa c’è di meglio delle visite turistiche per favorire tale valorizzazione? I benefici economici che ne derivano sono evidenti. Non solo. «Il turismo favorisce la conoscenza tra i popoli, ha una forte valenza culturale, è fattore di mutua integrazione», chiosa la Rabbiosi. E comunque continua a crescere, a testimonianza che un numero sempre maggiore di persone desidera godere i benefici della globalizzazione: se alla fine degli anni ’80 il turismo nel mondo muoveva poco più di 400 milioni di persone l’anno, venti anni dopo, alla fine del primo decennio del nuovo millennio, è arrivato a coinvolgere quasi un miliardo di persone. E, pur in questi ultimi anni assediati dalla crisi, il settore turistico ha continuato imperterrito a espandersi a una media del 4 percento l’anno (dati della World Tourism Organization) sino a rappresentare il 5 percento del prodotto lordo mondiale e l’8 percento dell’occupazione, mobilitando mille miliardi di dollari l’anno: per dimensioni il quarto settore economico dopo i carburanti, i prodotti chimici e i mezzi di trasporto. Ecco dunque un’ambiguità di fondo; da un lato è inevitabile che il turismo cresca e che sia favorito per dare valore al patrimonio culturale e paesistico (un valore non solo economico, ma anche di arricchimento della reciproca conoscenza tra popoli e di strumento capace di ampliare gli orizzonti cognitivi di ognuno); dall’altro lato i flussi che si riversano sui luoghi dotati di maggiore fascino sono percepiti come minaccia all’identità maturata nei secoli: che fine fa l’appeal degli angiporti ateniesi o delle ramblas barcellonesi, se sono percorsi da folle in pantaloncini corti e macchina fotografica trainanti rumorose valigie a rotelle? E, inoltre, quanto inquina il turismo? Già non solo nelle città, ma in luoghi impervi come il monte Fuji, il più alto del Giappone o persino sull’Everest, la cima più alta del mondo, si sono trovati depositi di spazzatura portata da folle di turisti (la Cina nell’aprile 2018 ha annunciato di aver recuperato 8 tonnellate e mezzo di rifiuti lungo le pendici di quest’ultimo). Per rispondere a questo problema la World Tourism Organization delle Nazioni Unite, ha dato vita alcuni mesi or sono a diverse iniziative volte a promuovere tra operatori, ammini-stratori locali e viaggiatori un approccio rispettoso dell’ambiente; una di queste è il Global Sustainable Tourism Council che ha cominciato a individuare linee guida per informare il turismo sostenibile. «In realtà sarà un decennio che si parla di turismo sostenibile – nota la Rabbiosi – ed è un problema non indifferente. Richiede che si coinvolga la popolazione in un’opera di rispetto dell’ambiente e delle tradizioni, e che a livello di amministrazioni pubbliche si attui una saggia politica industriale: bisogna fornire servizi adatti per far sì che il territorio sia messo in grado di accogliere i turisti senza esserne svilito ». Tenendo conto che, pur con tutte le difficoltà, il turismo può aiutare gli stessi residenti a guardare con occhi nuovi il proprio territorio. «Un esempio è quel che è avvenuto nella riviera di Rimini. Il turismo russo, divenuto molto cospicuo in questi ultimi anni, ha aiutato a valorizzare l’entroterra, non solo le spiagge: i luoghi e le architetture storiche, ma anche i distretti produttivi delle scarpe e del tessile, tipici della zona. Perché anche lo shopping, al di là degli aspetti meramente commerciali, è fattore di conoscenza. Questo turismo russo nel Riminese, a differenza di quel che si possa credere, non è composto da pochi privilegiati, ma da persone di classe media che arrivano con gite organizzate». E così anche l’industria e l’artigianato locali sono valorizzati come espressione del made in Italy: non solo l’alta moda, che è uno dei fiori all’occhiello di città come Milano, Roma e Firenze. Ergo, sotto diversi i punti di vista va riscoperta la complessità del territorio, articolato in tanti piccoli centri tutti dotati di forte radicamento storico, a differenza di quel che accadeva all’epoca del Grand Tour, che interessava solo pochi grandi centri. «La modalità turistica del Cammino, come quello notissimo di Santiago e quelli che si vanno sviluppando in Italia, come le Vie Fancigene, consente non solo di migliorare la visibilità di piccoli centri periferici, ma anche di delocalizzare i flussi turistici. Dando peso alle piccole e medie realtà locali: con tutte le loro tradizioni, materiali e immateriali, incluse le feste di paese e i prodotti gastronomici tipici...». La promozione del vasto territorio, non solo dei soliti centri storici stranoti, sembra essere una delle chiavi di volta per distribuire meglio i flussi di visitatori. Se diventa insostenibile un turismo focalizzato solo su pochi luoghi, un turismo più diffuso e coinvolgente può essere la via per una nuova sostenibilità, e magari anche per rianimare piccoli centri poco noti o abbandonati.