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Anniversario. Così Alan Turing ci mise in guardia dagli inganni delle macchine

Vincenzo Ambriola venerdì 7 giugno 2024

Il monumento ad Alan Turing a Paddington, Londra

Alan Mathison Turing nacque a Londra il 23 giugno 1912. Nel 1934 si laureò in matematica con il massimo dei voti al King’s College dell’Università di Cambridge e nel 1936 ottenne il dottorato di ricerca alla Princeton University, un’università statunitense situata nel New Jersey. Nel 1940 lavorò a Bletchley Park per il Dipartimento delle comunicazioni, utilizzando la macchina Colossus per decifrare i codici nazisti. Dopo la guerra, si trasferì al National Physical Laboratory a Teddington, vicino a Londra. Nel 1947 tornò all’Università di Cambridge e nel 1951 andò all’Università di Manchester.

Turing è uno dei padri fondatori dell’informatica. Ha ottenuto risultati teorici che ne hanno profondamente influenzato lo sviluppo, anche tecnologico. Per primo ha affrontato il tema del pensiero artificiale, lanciando una sfida chiamata “test di Turing”, che solo recentemente è stata vinta dalle macchine. Il test è un esperimento concettuale basato sul gioco dell’imitazione, molto in voga ai suoi tempi. Nella versione proposta da Turing, una persona pone delle domande ad altre due persone (un uomo e una donna) cercando di scoprire chi è la donna e chi è l’uomo. Turing modificò questo gioco, sostituendo la donna (o l’uomo) con una macchina e chiedendo a chi pone le domande di scoprire chi è la macchina. Turing riteneva che, se una macchina fosse riuscita a ingannare un umano, allora la macchina sarebbe stata capace di pensare. Molti hanno criticato questo ragionamento, affermando che l’unico risultato dell’esperimento sarebbe la dimostrazione fenomenologica della capacità di ingannare ma non quella ontologica di pensare.

Il suo articolo del 1950, Computing Machinery and Intelligence, pubblicato sulla rivista “Mind”, inizia con la famosa domanda «le macchine possono pensare?» e con la proposta, provocatoria a quel tempo, di utilizzare un semplice test per rispondere. L’articolo, molto complesso, contiene una meticolosa elencazione delle potenziali posizioni contrarie alla sua proposta. Si va dall’obiezione teologica «pensare è una funzione dell’anima immortale dell’uomo», a quella matematica, a quella relativa alla coscienza, fino ad arrivare alla percezione extrasensoriale. Rileggendo i suoi ragionamenti non si finisce mai di scoprire dettagli, intuizioni, allusioni.

La parte forse meno conosciuta dell’articolo è dedicata alle “Learning Machines” (macchine che imparano). Negli ultimi due anni i successi dell’intelligenza artificiale sono stati resi possibili da una particolare tecnica, chiamata “Machine Learning” (apprendimento automatico). Nonostante la similarità linguistica, i due concetti hanno un significato notevolmente diverso. Nel primo caso Turing descrive il procedimento da seguire per la realizzazione di una macchina che impara, e poi da utilizzare per il suo test, nel secondo caso si tratta di una tecnica informatica basata sulle reti neurali, che ha recentemente dimostrato la sua enorme potenza ed efficacia.

Dopo aver formulato la sua idea, costruire una macchina in grado di imitare la mente umana, Turing analizza in dettaglio le possibilità operative da seguire per realizzare tale macchina. Parte da un’osservazione che Lady Lovelace riporta nel suo racconto sulla macchina analitica di Charles Babbage «la macchina analitica non ha alcuna pretesa di creare qualcosa, può fare tutto ciò che sappiamo ordinarle di fare», ma aggiunge, forse involontariamente, una piccola ma significativa variazione «può fare solo tutto ciò che sappiamo ordinarle di fare». Il seguito è un emozionante crescendo di passaggi, in cui prima ipotizza la realizzazione di una “macchina infantile” «anziché cercare di produrre un programma che simula la mente adulta, perché non cercare piuttosto di produrne uno che simula quella di un bambino?» e poi spiega in dettagli minuziosi il processo di apprendimento a cui tale macchina deve essere sottoposta. Conclude con un’affermazione secca e intrisa di ottimismo «possiamo sperare che sicuramente nel futuro le macchine competeranno con gli uomini in tutti i settori puramente intellettuali». Nel testo originale, Turing usa l’avverbio “eventually”, che in inglese non significa “eventualmente” ma “sicuramente nel futuro”. Inoltre, qualifica questo evento come qualcosa di positivo, addirittura di positivo e benefico per l’umanità, usando il verbo “sperare”. Negli anni successivi, altri scienziati hanno assunto una posizione diametralmente opposta, ritenendo che un’intelligenza artificiale capace di svolgere “tutte” le attività intellettuali umane sarebbe una seria minaccia per l’umanità. Si tratta della tanto discussa e controversa intelligenza artificiale generale.

Ciò che colpisce nell’analisi del processo di costruzione della sua macchina pensante, sono i numerosi temi che hanno poi rivelato la loro importanza nel dibattito sulle opportunità e sui rischi dell’intelligenza artificiale. Turing mostra di avere una stupefacente visione del futuro, basata su un mondo, quello degli anni Cinquanta, in cui esistevano pochi esemplari di calcolatori elettronici, con capacità computazionali molto ridotte. Prescrive che la macchina infantile non debba avere una fisicità «non dovrà essere dotata di gambe […] possibilmente non dovrà avere occhi» ma neanche emozioni «queste definizioni non presuppongono alcun sentimento da parte della macchina […] che deve avere altri canali di comunicazione “non emozionali”». Identifica il ruolo essenziale della casualità «probabilmente è saggio includere un elemento casuale nella macchina che impara», anticipandone l’uso nei sistemi di intelligenza artificiale generativa. Si pone il problema della spiegabilità «il suo insegnante sarà spesso ignorante di ciò che succede al suo interno» anticipando un intenso e attuale filone di ricerca che non vuole trattare i sistemi di intelligenza artificiale come “scatole nere”, i cui contenuti sono inaccessibili, ma che cerca di capirne il funzionamento. Ma ciò che colpisce è l’idea di trattare l’intelligenza come un fenomeno emergente. Le sue parole sono chiare e inequivocabili «presumibilmente il comportamento intelligente consiste in un allontanamento dal comportamento completamente disciplinato del calcolo» e lapidarie «non farà sorgere un comportamento casuale o una serie di inutili cicli ripetitivi». I recenti progressi dei sistemi di intelligenza artificiale generativa stanno facendo cadere l’ipotesi che siano solo dei “pappagalli stocastici”, basati sul caso. Almeno dal punto di vista fenomenologico alcuni esperimenti hanno invece dimostrato in questi sistemi l’esistenza di scintille di intelligenza.

Alla fine del suo articolo Turing si chiede quali obiettivi le macchine pensanti potrebbero raggiungere entro la fine del ventesimo secolo. Ne elenca due, il gioco degli scacchi e la padronanza della lingua inglese, effettivamente raggiunti negli ultimi anni. Stranamente, però, collega l’ultimo obiettivo, la padronanza della lingua inglese, a qualcosa che aveva escluso inizialmente, la fisicità della macchina infantile. Le sue parole sono chiare «sarebbe meglio dotare la macchina dei migliori organi sensoriali che si possano acquistare» e anticipano un intero filone di ricerca, la robotica, che ha tra i suoi obiettivi proprio quello di costruire entità artificiali in grado di interagire con l’ambiente, mediante appositi “organi sensoriali”.

La frase che chiude il suo articolo è una solenne dichiarazione di fiducia e ottimismo «possiamo vedere solo ciò che è poco distante davanti a noi, ma possiamo vedere molto di ciò che deve essere fatto». La sua mente vedeva e valutava lucidamente i grandi risultati scientifici e tecnologici degli anni Cinquanta e intuiva un futuro denso di sfide non solo tecnologiche ma anche concettuali e dai significativi risvolti filosofici e sociali. Purtroppo, non riuscì a vederlo, il suo futuro. Il 31 marzo 1952 fu arrestato e condannato per omosessualità e, in alternativa al carcere, accettò la castrazione chimica. Settant’anni fa, il 7 giugno 1954 all’età di 42 anni, si suicidò a Manchester mangiando una mela avvelenata.