La Spagna è troppo bella per i tedeschi. Gli iberici che volano in finale con l’Olanda sono la squadra del Grande sogno, del voglio ma non posso di molte formazioni che non riescono a coniugare qualità ad efficacia. Si può vincere giocando male o viceversa. Le Furie Rosse del ct Del Bosque riescono ad essere tutto e il contrario di niente. Arrivano alla finale di un mondiale freschi di vittoria nell’Europeo, il tutto con la naturalezza di nessun altro.La vittoria di misura sulla Germania è un capolavoro ancora più evidente poiché maturato contro una Germania sul piano tattico ha sbagliato poco o nulla. Nella prima parte del match la Spagna dei piedi buoni fa circolare la palla di continuo, qualche volta con insistenza. Combina poco, di per sé è una sorpresa. Iniesta e Xavi agitano finezze, estetica e zero sostanza. La Germania aspetta, coscientemente e strategicamente. Il suo prodotto non è casuale, i tedeschi subiscono proattivamente. Anche questa è dimostrazione di forza. Quando riparte, la “Nationalmannschaft” ha spazi invitanti che crea con il suo standard volutamente attendista. Nemmeno i teutonici furoreggiano nell’area avversaria, sia chiaro, ma tant’é. Lahm spinge a destra, dall’altra parte Boateng ha meno birra del solito. Sicché nel primo tempo equilibrato all’inverosimile registriamo, oltre ad un sospetto crollo in area di Ozil, un uscita di Neuer esce sui piedi di Villa, il tentativo di Xavi Alonso da fuori e relativa imitazione di Trochowski pochi minuti più tardi.Poca roba, con qualche attenuante. Non c’è lo squalificato Müller, la giovane sorpresa del torneo. Ma c’è Klose, quattro gol (uno all’Australia, uno all’Inghilterra e due all’Argentina), riserva nel Bayern e vecchietto intoccabile in questa nazionale di ragazzini. Non c’è nemmeno Fernando Torres, spedito nel limbo della panchina per colpa di un mondiale un po’ così. Non scherza e non guarda in volto nessuno Vicente Del Bosque. La sua faccia da bonaccione deve essersi inalberata negli spogliatoi e quando la Spagna rientra in campo esce anche dal letargo. Tiri da fuori, se non si sfonda in mezzo. Il diktat del ct iberico è lampante. In pochi minuti i tentativi dalla distanza fioccano a grappoli, i più pesanti sono quelli a fil di palo di Xabi Alonso, Villa e Pedro. La ripresa nasce nel nome dei cam- pioni d’Europa. Uno-due e movimenti negli spazi: la squadra di Del Bosque è padrona del campo. Ramos cade in area, l’arbitro lascia corre. Flamenco vorticoso, la Germania balla di brutto. La Spagna sembra il Barcellona, è il capitano dei blaugrana a sbrigliare la situazione. Corner di Xavi e incornata memorabile di Carles Puyol . E’ la rete del successo che potrebbe essere più consistente se Pedro non facesse il dribbling di troppo.La Roja che in ottant’anni non è mai andata oltre il quarto posto del ’50 ride e spera in grande. Ha ragione Vicente Del Bosque, che ha ereditato la panchina da Aragones, subito dopo la finale di Vienna: zNoi siamo cambiati poco, perché non era il caso di rivoluzionare una squadra che andava forte. Però l’immobilismo nel calcio non funziona e qualcosa abbiamo modificato: siamo meno regolari e più imprevedibili». Domenica la Spagna inconterà l’Olanda dei velocisti. Sarà un duello tra due concezioni di calcio- spettacolo, che in nome dell’improvvisazione e creatività cerca le fondamenta di un trionfo indimenticabile.