Spesso, quando si parla di treni storici, si è spinti a pensare alle "vaporiere" sbuffanti. Questa immagine la si lega allo stupore che si disegna sul viso di un bambino al suo passaggio. Nel nuovo millennio parlare di treni storici non è più solo fare riferimento alle locomotive a vapore o alle carrozze
Centoporte, quelle dotate, appunto, di porte in corrispondenza di ogni scompartimento, con sedili rigorosamente in legno, come tutto l’arredo, e radiatori del riscaldamento sottostanti, ma allargare l’orizzonte a locomotive e vagoni, che non hanno novant’anni ben portati alle spalle ma solo… cinquanta. I convogli storici sono una risorsa. L’hanno capito, da tanto tempo, all’estero. Eppure, guardando bene in casa nostra, scopriamo che Ferrovie dello Stato, oggi, ha il parco di mezzi d’epoca più ricco tra le compagnie europee. E bisogna aggiungere anche i mezzi delle ferrovie regionali e delle associazioni. Così, spiegano Marco Bruzzo e Michele Cerutti, autori del recentissimo volume
Rotabili storici (Duegi Editrice), «l’Italia si posiziona al terzo posto nel vecchio continente dopo l’isola britannica e i land tedeschi». Purtroppo questa potenzialità è poco sfruttata e limitata solo ad alcune linee, come le Ferrovie del Basso Sebino e della Val d’Orcia, qualche tratta in Puglia e in Sicilia, quelle a scartamento ridotto della Sardegna. Insomma, per chi vuole viaggiare su un "vecchio" treno sono tutt’altro che rose e fiori e spesso accade di migrare oltre confine.
Rotabili storici diventa, allora, uno strumento di conoscenza per neofiti ma anche esperti o quasi. Preservare un rotabile storico è un impegno non di poco conto. Eppure la "conservazione", nel nostro Paese, si può far risalire addirittura al 1911 quando, in occasione dell’Esposizione universale di Torino, furono restaurate due locomotive ottocentesche a vapore. Peccato che poco dopo vennero demolite. La tutela del materiale ferroviario, nel corso del ’900, è scandita da tappe significative, compresa la realizzazione di alcuni musei dove tanti rotabili sono "parcheggiati" e visitabili. Quello degli spazi espositivi è però un capitolo a se stante: quei mezzi non sbuffano e sferragliano più... Invece quelli che ancora corrono, anzi hanno ripreso a correre, dopo periodi di accantonamento (in parole povere messa fuori servizio) non rappresentano solo eventi occasionali ed emotivi, ma si inseriscono anche in un contesto economico legato allo sviluppo turistico e in quello culturale, nella riscoperta del "come ci muovevamo". «Sedersi sulle panche di legno lucido respirando gli odori di un treno a vapore, come pure accarezzare i velluti confortevoli di una carrozza anni ’50, significa immergersi in un mondo fatto di persone e lavori ora scomparsi, ma che rivive integralmente», scrivono Bruzzo e Cerutti, i quali hanno realizzato il volume con l’intento di accompagnare il lettore «in un viaggio ideale alla scoperta e alla conoscenza di tutte le testimonianze attive delle nostre ferrovie». Alla scoperta di rotabili che sanno ancora emozionare e che forse ora emozionano più di un tempo, quando erano "la regola". E allora immaginiamoli questi rotabili. A cominciare dalle vaporiere, che costituiscono il simbolo dei primi passi della storia ferroviaria. Sfogliando il libro si potrebbe anche essere tentati dalla non lettura: le pagine scorrono tutte d’un fiato regalandoci, una dopo l’altra, immagini di convogli in paesaggi bucolici, ai quali non si è abituati. Però la curiosità prende il sopravvento: la didascalia ci svela la località dello scatto e una completa scheda tecnica ci "racconta" la locomotiva. Piccole, mastodontiche, da manovra, veloci come missili, per l’epoca (130 chilometri orari) o vecchiette civettuole e affascinanti, come la 200-05 de LeNord che iniziò a mangiare carbone nel 1883 e pare per niente stufa di mangiarlo. E quelle a scartamento ridotto di Calabria e Sardegna: peccato aver perso per strada la Sicilia… Esaurita la conoscenza delle vaporiere prendiamo contatto con le locomotive diesel: anche qui ne troviamo per tutti i gusti. Si incontrano "signorine" ben più giovani, il loro terreno fertile è rappresentato dagli anni ’50 ma soprattutto ’60. Con loro i treni storici perdono un po’ di fascino, viene a mancare il "profumo" del vapore, il ritmo degli stantuffi, la cenere che si posa sugli abiti e sulla pelle. Ma il fascino di viaggiare su una ALn (automotrice leggera a nafta), ascoltare il rombo del motore, le cambiate (questi mezzi sono dotati di cambio manuale, stile autobus) è notevole. Magari correndo su un’ALn 40 Fiat del 1936, quelle che in epoca fascista venivano chiamate
Littorine. In fondo la parentela con la corriera è stretta. Non per nulla nel periodo antecedente la Seconda guerra mondiale le Ferrovie tedesche "inventarono" gli
schienenbusse, "autobus su rotaia" appunto, mezzi leggeri ed economici, che nel nostro Paese saranno costruiti, tra il 1953 e il 1958, dalla Macchi in sette esemplari. E l’emozione di un viaggio a contatto col macchinista, vista binari, è possibile grazie allo
schienebusse ALn 1204 della Ferrovia del Basso Sebino che "scorrazza" con corse organizzate sulla linea della Valcamonica. Impossibile soffermarsi su tutti i mezzi. Due parole, però vanno spese per l’ALn 990 1005: è l’ultima rimasta (dopo che la 3018 è stata distrutta da un incendio in Val d’Orcia), è stata trovata ad Alcamo, in Sicilia, in pessime condizioni e sembra esserci la volontà di recuperarla. E due parole anche per la M1.37,
Emmina, delle Ferrovie della Calabria: un vero autobus su rotaia (motore OM, cambio a 4 marce più retromarcia, 79 orari, 36 posti a sedere). Si trova in condizioni pessime e anche per lei è allo studio il recupero. Si entra poi nel campo delle locomotive elettriche. Nel nostro Paese non è stata preservata alcuna linea trifase e quindi le "macchine" salvate dalla fiamma ossidrica restano immobili nei musei. Il parco rotabili storici ci regala locomotive a partire dagli anni ’30. La vera "chicca" potrebbe essere il recupero della Ftc15 (Ferrovia Torino-Ciriè) appartenente alla serie costruita tra il 1919 e il 1920. Se si vuole viaggiare su qualcosa di ancora più vecchio, merita fare un salto a Bolzano per vedere all’opera, lungo la linea del Renon, la 2 della Sad: data di "nascita" 1908, velocità massima 25 orari, un veicolo con l’intera carrozzeria in legno. Siamo ormai passati al campo degli elettrotreni e qui, se non altro, dobbiamo ammirare il design che i progettisti nostrani, a partire dal 1936 con la serie degli Etr200, hanno saputo trovare. E non bisogna dimenticare le carrozze. Non c’è che l’imbarazzo della scelta a partire dalle "Centoporte" degli anni ’20 per giungere alle vetture degli anni ’70, capaci di viaggiare a 160 orari e assai confortevoli, con i loro scompartimenti e i sedili in velluto in 1ª classe. Sono stati preservati anche alcuni vagoni postali e carri merci con i quali vengono realizzati i cosiddetti treni fotografici. L’ultima annotazione per due convogli che stanno marcendo, esposti alle intemperie: l’Etr 302, il
Settebello, orgoglio italico degli anni ’50 e l’Etr 401, il primo
Pendolino. Recuperarli costa molto, ma di questi mezzi dobbiamo andare fieri. E magari salvare il "Pendolino", proprio nel 2011, sarebbe rendere omaggio all’ingegnere Francesco di Majo il suo ideatore, che è scomparso lo scorso gennaio. Per chi vuole saperne di più non resta che consultare
Rotabili storici. E se si vuole provare l’ebbrezza di un viaggio su un vecchio treno si possono trovare tutte le informazioni su
www.duegieditrice.it/category/appuntamenti.