Agorà

Teatro. Tragica eroina, l'appassionata «Ifigenia Liberata» di Rifici

Roberto Mussapi domenica 30 aprile 2017

La protagonista Anahi Traversi

Carmelo Rifici, uno dei più bravi registi italiani affermatisi in questi anni, non scherza. Affronta il mito, la tragedia, interrogandosi sulla pagina e quindi, di conseguenza, sulla scena, con la ferocia conoscitiva e la paura e la sete di pietà con cui un cittadino greco andava, nel quinto secolo a. C. alle rappresentazioni tragiche. Rifici ora affronta in Ifigenia Liberata (in scena al Piccolo di Milano fino al 7 maggio), un personaggio tragico e sacrificale centrale nel nostro pensiero ma ancor più nel nostro inconscio collettivo: è una ragazza, bella, condivide in qualche modo il destino di Dioniso, di Orfeo, il padre dei poeti, di Cristo. Facente parte di un ciclo, che ha inizio con Agamennone. Il capo degli AC chei distruttori di Troia, che torna, con una nobile troiana fatta schiava, umiliata. Lo attende la moglie Clitemnestra, con Egisto divenuto suo amante. Lei lo accopperà con una mazzata al suo ingresso alla reggia, nel bagno. Alle spalle uno spettro, una colpa: Ifigenia, che secondo il mito, per vaticinio di un oracolo, avrebbe dovuto essere sacrificata per la vittoria dei greci. Agamennone l’aveva uccisa, Clitennestra da quel momento matura la vendetta. Da qui la catena di sangue: il figlio Oreste, fratello di Ifigenia, ucciderà la madre colpevole dell’assassinio del marito. Ifigenia è la vittima sacrificata al successo guerresco e il cui sacrificio causa la punizione di Agamennone. In Euripide, il più critico verso il divino dei tre grandi tragici, è salvata, grazie a un teatro nel teatro in una tragedia, Ifigenia in Aulide, e sottoposta a una crudele complessa agnizione in una seconda, Ifigenia in Tauride. Con coraggio e senso tragico-religioso profondo, Rifici affronta questa figura scrivendo con Angela Dematté un dramma in cui i testi di Euripide si mescolano a Omero, Eschilo, Sofocle, Antico e Nuovo Testamento, Nietzsche. Attraverso il filtro del pensiero di René Girard nella interpretazione di Giuseppe Fornari: due pensatori la cui opera è incentrata sul tema del sacrificio. L’idea scenica è quella del teatro nel teatro: la compagnia prova l’Ifigenia e si interroga sul suo senso, e sul senso del dolore. Appassionata l’operazione di Rifici coautore (discutibile la sua visione del mito greco in toto, ma legittima: lui guarda a Girard, non a Vernat o Kereny), impeccabile regista, eccezionali gli attori. Tra i quali Edoardo Ribatto e Giovanni Crippa, brava davvero Mariangela Granelli a migliorare l’unico punto debole, a mio parere, della pièce, il ruolo troppo invadente della drammaturga. Sia chiaro, voluto, come voluto un eccesso di didascalismo, forse parte necessaria e operante di questo felice lavoro. Rifici affronta attraverso una giovane eroina tragica il tema del male, usa teatro e poesia per cercare una via d’uscita dal fatalismo cieco quanto logicamente sostenibile. Fa crescere nel sacrifico una memorabile Ifigenia-Traversi, fa risuonare in crescendo la parola Speranza, che è il sogno dei tragici greci da quando criticarono in modi diversi, da Prometeo a Antigone, il Pantheon che la soffocava. Negli occhi della straordinaria ruscellante Anahi Traversi, per un istante ho rivisto lo sguardo per sempre incantante di Fabiana Udelio, la giovane Miranda della Tempesta di Sthreler. Era una vittima vincente, per amore e magia. Anahi una vittima che promette una vittoria, nel sacrificio, nella dedizione che fa del sacrificio speranza d’amore.