Letteratura. Il romanzo postumo di Roberto Pazzi, tra visibile e invisibile
Roberto Pazzi, poeta, scrittore e fondatore della scuola di scrittura creativa Itaca, è morto a Ferrara, dove viveva, lo scorso 2 dicembre a 77 anni
Mi aveva scritto a metà novembre, col suo solito entusiasmo, per avvertirmi del fatto che mi avesse appena inviato il pdf di questo suo ultimo intenso romanzo, che approda oggi in libreria per La nave di Teseo. Titolo: La doppia vista (pagine 208, euro 19,00). Roberto Pazzi lo sapeva benissimo che il suo tempo stava per scadere e ce ne dà conto in queste pagine: «I morti mi credono già uno di loro ». E subito dopo: «Questa notte mi ha raggiunto Sandro, anni fa rapito dallo stesso male di mio padre, che forse parlava con lui, in camera mia. Chissà che cosa si saranno detti, accomunati dalla stessa sorte, anche se non saprei immaginare due persone più differenti di mio padre e Alessandro Ricci». Il carissimo amico Sandro, il padre, la collega Angela, con la quale ha una turbinosa intesa di sensi amorosi, e la struggente sorella Emilia: «Mia sorella è passata dalla finestra, come papà, Sandro e Angela. Eccola. È sempre lei, una delle donne più belle della città, se non la più bella». E poi: «Non mi ero mai accorto di una certa sua somiglianza con la primogenita dello zar Olga, la quale se avesse accettato di sposare Carol di Romania, si sarebbe salvata diventando regina di quel paese». Già: Ol’ga Nikolaevna Romanova, la figlia maggiore di Nicola II di Russia trucidata dai bolscevichi, quando è vero che ai Romanov Pazzi dedicò i suoi primi due romanzi, Cercando l’imperatore (1985) e La principessa e il drago (1986). Questo per dire che nell’ultimo romanzo dello scrittore ferrarese le figure cruciali della sua vita si confondono con i suoi personaggi, tutti fatti della stessa sostanza, quella dei sogni. Non per niente, La doppia vista si apre con un breve Prologo che mette in campo il Signore e gli angeli, con quel loro «inconfessabile desiderio» che «non li abbandona mai». Perché questo è il punto: «L’immortalità della carne, la sognano sempre». Siamo, insomma, ancora alla stessa atmosfera di Hotel Padreterno (2021), il libro in cui la temperatura visionaria di Pazzi raggiunge il suo più alto grado, in pagine in cui il Padre decide di incarnarsi in un anziano signore che torna tra noi, per capire cosa veramente provò il Figlio quando si fece uomo. Si diceva della compresenza di persone (carissime) e di personaggi (altrettanto cari), convocati tutti insieme da uno scrittore che ha da sempre reputato la letteratura e la vita come un’endiadi imprescindibile, in cui i due termini si scambiano continuamente di ruolo.
Siamo ben oltre i pirandelliani Colloquii coi personaggi, perché La doppia vista è un’assise in cui è la vita stessa a darsi convegno, coi suoi bilanci e i nodi finalmente sciolti, affinché nel congedo non vi siano decozioni o insolvenze: nessuna tentazione di metaletteratura fine a se stessa, nessun facile gioco intertestuale. Soltanto lo stato di grande confusione che coglie uno scrittore avanti con l’età, quando si sveglia una mattina, consente già dall’incipit quella soppressione dei confini tra realtà e fantasia in cui il romanzo germina. È a queste condizioni che Pazzi può, con tutto se stesso, coincidere coi suoi personaggi, tra i quali spiccano Ludwig II, il re pazzo, Lucifero, Galla Placidia - la figlia di Teodosio I, cristiana intransigente verso ogni forma di paganesimo -, e soprattutto san Francesco, presente in molti luoghi del romanzo, capace di trionfare, mettendosi sulle orme di «sorella povertà», sui «nauseanti » e «persistenti narcisi, prigionieri di un corpo ormai cadente, che ospita ancora il vano furore dell’io». Bisognerà ora intendersi, però, sul significato di quella «doppia vista » che presta addirittura il titolo al libro, perché ci consente un discorso - purtroppo definitivo che ha a che fare non solo con la poetica dello scrittore, ma anche con la sua vicenda umana, con quel suo specialissimo modo di stare al mondo che puntava soprattutto sulle qualità dell’immaginazione.
Non è un caso che la questione si chiarisca del tutto e senza possibilità di equivoci nelle pagine dedicate al rapporto col padre, l’anti-narciso per eccellenza: il quale rimproverava continuamente al giovane scrittore di occuparsi di cose di così scarso valore come i libri, perché «le persone erano quel che custodivano nel conto corrente». Sarà Galla Placidia, nello struggente dialogo finale, a riconciliare lo scrittore con se stesso e con la sua prepotente immaginazione, consegnandolo interamente al suo destino, affidandogli una verità che continua a risuonare dentro il lettore: «La tua parola è abituata a esondare. Della tua doppia vista si salverà solo quella della visione, che non è testimoniata. Per te il tempo non esiste. E da oggi neanche per me». Vorrei concludere ricordando che il romanzo di Pazzi accampa in epigrafe una citazione di Elsa Morante, che esplicita da subito la dimensione metafisica entro cui ogni pagina del libro si dispiegherà: «La morte è un uccellino che sta posato sulla spalla dello scrittore e canta al suo orecchio». Si tratta di una questione cruciale che involge l’unica domanda radicale che nessun uomo può eludere: quella che ha a che fare con la morte e i suoi significati. Anche Pazzi riceverà la visita di questo volatile, che gli confesserà di essere il suo «male»: «Quello che hai nella pancia. Una cosa piccola piccola, una pallina minuscola che ti è cresciuta dentro a poco a poco, quella che cerchi di dimenticare ». Sarà l’uccellino a suggerirgli che c’è una legge a cui nessuno sfugge: «Il duello costante fra la malattia e la guarigione». Sappiamo poi come è andata a finire: anche se Pazzi, fino all’ultimo, è stato convinto che sarebbe finita bene, come in una favola di Perrault. Resta, a lettura ultimata, il senso d’un continuo sconfinamento tra visibile e invisibile: non sono poche le pagine in cui lo scrittore confessa di non sapere dove si trovi, se di «qua» o di «là». Insieme alla fede - quella che non aveva mai avuto l’amico Sandro nella vita oltre la vita e nell’idea che di là sia esattamente come di qua: dove nulla conta come l’amore.