Spiritualità. Tra nulla e il niente: quel Sabato vuoto delle nostre vite
La "Tomba vuota" della chiesa di Nostra Signora oltre la Dyle a Malines
L’Occidente è stanco, demotivato e senza bussola. Le prime vittime sono i bambini, i quali mai come oggi sono investiti da un pericoloso disincanto che rimuove ogni goccia di stupore affrettando la fase dell’adultità. Scienza e nichilismo hanno prevalso rispettivamente sulla dimensione socratica del non sapere e sul desiderio di non rinunciare a richiami quali la verità, l’etica, la fede, l’amore, l’amicizia: parole ormai calpestate e confuse nel mare del relativismo! La tanto sopravvalutata globalizzazione impedisce, come già tuonava in tempi non sospetti Karl Jaspers, di fondare nuove comunità, o perlomeno rifugiarsi in luoghi non inquinati dal dio-denaro e altri idoli. Sappiamo tutto, e questo «tutto» ci fa star bene in superficie e male nel profondo.
Per essere più espliciti, dimoriamo nella stagione della finitudine, del non-mistero, della certezza empirica e di un ateismo esistenziale non ancora colto nella sua drammaticità. Se questo è in grandi linee lo sfondo, è naturale che l’arrivo del tempo pasquale ci faccia sentire come pesci fuor d’acqua. Al netto di riti, ricorrenze, eventi o entusiasmi primaverili, come può l’uomo contemporaneo, produttore ed esecutore passivo del non-senso, accarezzare sul serio quel che promana dal mistero dei tre giorni? Come può riallacciarsi alla dialettica inesauribile del “3” quando non riesce a spostarsi dalle piccole dialettiche che lo imprigionano?
Forse un modo per mostrarsi il meno possibile “fuori posto”, è cercare di riconoscere il «secondo giorno», quel Sabato non distante dall’odore della nostra epoca. Interpretato con argomenti penetranti dal teologo Von Balthasar e ripreso dal precedente Pontefice, il Sabato simboleggia l’inverno nel cuore. Qui avviene qualcosa di inspiegabile: Cristo scende agli inferi e si abbandona in un silenzio inaudito allontanandosi in maniera drastica dal Padre; anzi, si può dire che la morte di Dio viene sperimentata proprio da Cristo nel «secondo giorno», in cui il suo volto si mescola tra le ombre, tra i mille peccati che circondano stanze buie finalmente raggiunte.
Lui stesso si fa «ombra», come viene rappresentato dal crocifisso posto nella chiesa di San Pietro ad Assisi; così il Figlio di Dio diviene in modo completo “Figlio dell’uomo”. Non sta più accanto, ma sotto, a terra, sdraiato al fine di precludere l’ultima caduta di ogni essere. Basta questo per rendersi conto del motivo per cui siamo abituati a fare un salto dal Venerdì alla Domenica eludendo colpevolmente quel tratto angosciante che ci fa paura. È rassicurante, infatti, parlare della morte e resurrezione del Figlio di Dio; molto più difficile, invece, esplicitare la nostra agonia che, appunto, riposa negli abissi del Sabato, dove peraltro emerge la differenza sottile e fondamentale tra il Nulla e il Niente.
Il Sabato è caratterizzato dal Nulla, cioè da un precipitare vertiginoso che tuttavia non esclude del tutto il brivido del “3”, della Domenica; nel Nulla troviamo quella calma agitata da un dolore situato nelle province più fredde e nascoste ove nessuno vi ha accesso. Una calma diversa dal Niente o da quel «sonno», come lo chiama Nietzsche, che alimenta una terra «fedele a sé stessa», in cui «tutto è perfetto» e ci si dimentica della «piccola sete». Nell’orizzonte oscuro del Nulla, al contrario, non ci si dimentica della sete, nonostante manchino energia e desiderio di bere. Se il Niente è troppo sereno e dunque ignora le inquietudini del “2”, non sente i battiti finali dell’“1” (Venerdì) e sbeffeggia il risveglio del “3” (Domenica), il Nulla abita proprio il Sabato perché due sono i corpi sospesi nel penultimo stadio: il corpo dell’io e quello di Cristo.
Nell’ora più acuta della notte, dove non si può mentire, il Nulla rischia d’altra parte di scivolare nel Niente perché l’uomo può non riconoscere il suo dramma; può, ad esempio, tergiversare o coltivare una bugia interiore che lo rende sempre più solo. In tal modo, il dolore più severo si tramuta in lamento, la disperazione in tristezza quotidiana, il grido in chiasso sterile. Cristo, con la sua caduta, con la sua sconfitta, cerca di impedire proprio questo: che il gelo del Nulla diventi una falsa Domenica di chiacchiera, e ci fa capire che la morte di Dio, legata al Sabato postmoderno, deve essere peculiarmente attraversata. Il Sabato diviene “Santo”, nella sua pienezza, quando l’assenza di fede e di preghiera mostra due corpi nudi, stanchi e indifesi che non accettano la notte come meta e insistono, zoppicando, verso la luce.