Musica. Cris La Torre: «Tra lirica e pop canto per noi artisti»
In principio era Cristiano Cremonini. Andava alla Scala, alla Opernhaus di Zurigo, al Bunka Kaikan di Tokyo, al Municipal di San Paolo del Brasile, alla Concertgebouw di Amsterdam, all’Opera di Roma... per cantarci. Il suo squillante timbro di tenore lirico di grazia a molti ricordava il primo Pavarotti. Venti internazionali anni di lirica. Ruoli, partiture, copioni, trucco. Poi la svolta pop, tre anni fa, e il primo album. Tempo presente, un titolo che è un manifesto esistenziale: arte e vita personale a braccetto, indissolubili. Le vecchie parti, messe da parte. Ma nel pop un Cremonini c’era già, oltretutto concittadino e con la stessa onomastica lettera iniziale. Così Cristiano, che non è un Cesare, diventa Cris. E siccome svetta, con quasi due metri di verticale umanità, diventa anche La Torre. La terza della sua Bologna, un po’ come Tognazzi è la quarta “T” di Cremona.
Ha sognato Cris La Torre, sempre, e lo fa tuttora, ancor più nel tempo del Covid che con le sue virali e subdole paure trasforma i sogni in incubi. Ha sognato soprattutto fidandosi, di sé e dell’arte che lo permea e muove. Un segreto, una ricetta, anzi un elisir d’amore che, da navigato ex Nemorino, vuole ora cantare a pieni polmoni. Per esortare tutti i colleghi dello spettacolo a custodire e cullare al centro di sé l’essenza stessa della personale passione artistica, proprio nel pieno del dramma collettivo di una categoria travolta più di tutte dal coronavirus.
Così è ora online il video del nuovo brano Fidati dei tuoi sogni (distribuito da MegaDischi-Pms Studio) scritto dallo stesso Cris La Torre insieme a Rod Mannara, la cui trasposizione filmica è opera della regista Federica Lecce. Attraverso i protagonisti del videoclip - la nonna (il sostegno), il fanciullo (il futuro), la sorella (l’unione), il padre (l’ostacolo) e il palco (la vita e le sue prove) ovvero figure ed elementi che incarnano una forte funzione comunicativa e simbolica - la regista ed educatrice Federica Lecce ha parafrasato il testo della canzone rappresentando il percorso con cui ognuno di noi persegue i propri sogni; una strada tortuosa in cui non c’è nessun vincitore né vinto, ma semplicemente un'anima pensante che corre verso il proprio percorso evolutivo.
Con i giovani musicisti e Cris La Torre, i protagonisti del video: Angela Malfitano, Federica Lecce, Rod Mannara e Roberta Giallo - lucabolognese.com
Cris La Torre, cosa ha ispirato questo suo progetto di sensibilizzazione per il mondo dello spettacolo e per l’arte?
Da diversi anni ormai, parallelamente alla carriera di cantante, sono promotore di giovani talenti. Il mio ultimo progetto è il Premio Giuseppe Alberghini, un concorso musicale classico istituito dall’Unione Reno Galliera con il Teatro Comunale di Bologna per sostenere e valorizzare giovani strumentisti, compositori e cantanti. Mille i concorrenti nelle prime cinque edizioni. Ogni anno io assisto a centinaia di audizioni e noto la grande passione e dedizione delle nuove generazioni. Tutto questo lavoro, questo amore per l’arte deve essere in qualche modo riconosciuto e incentivato. Specialmente ora che il nostro settore versa in gravi difficoltà, non possiamo lasciare che cada nell’oblio.
Eppure musica, teatro e cinema sono le prime e principali vittime sacrificali.
Ma vedere dei ragazzini di 8 o 10 anni completamente assorti nello studio di uno strumento è un’esperienza straordinaria e mi fa anche ripensare alla mia fanciullezza. Quanto lavoro c’è alle spalle, prima di affrontare una selezione in teatro. E uso la parola “lavoro” proprio per ribadire che questi ragazzi, io stesso e tutti i colleghi “lavoriamo con l’arte”. Siamo lavoratori dello spettacolo. L’arte è la linfa vitale di ogni comunità, ne attesta lo stato di salute civile e morale.
A chi è rivolta in particolare questa sua canzone-appello?
Fidati dei tuoi sogni è il mio desiderio di raccontare il momento più delicato: la crescita di un talento artistico, la naturale propensione alla bellezza, qualcosa di puro e prezioso che deve essere tutelato. È un invito a non mollare mai e a credere sempre in sé stessi e nelle proprie idee e passioni. L’arte conduce al bello che è dentro ciascuno. Non smarrire la capacità di percepirlo dovrebbe essere un impegno personale e collettivo. E, in quanto tale, anche politico. Per questo la mia canzone è rivolta a tutti. Anzi, a ciascuno.
In questo momento il Covid è il nemico in più. Lo spettacolo dal vivo è reso impossibile, lo streaming è un momentaneo parziale rimedio...
Le nuove tecnologie sono sicuramente un mezzo in più per avvicinarsi al mondo dell’arte, ma lo spettacolo dal vivo è l’essenza insostituibile. L’opera lirica, per esempio, la forma di spettacolo più complessa, è nata in teatro ed è real- mente viva soltanto lì. La magia, l’illusione di far parte di quella mirabile macchina è tangibile solo se la vivi personalmente e in mezzo agli altri, alimentando il senso di appartenenza ad una comunità.
Rossini Opera Festival, San Carlo di Napoli e Teatro dell’Opera di Roma hanno appena sfidato il Covid portando l’opera lirica senza pubblico in streaming. La Scala invece ha preferito un gala. Che ne pensa?
Un genere nato per il teatro non è adatto a uno schermo, è una cosa totalmente diversa e il raffronto è improponibile. L’opera va respirata, il cosidetto “odor di palcoscenico” non è riproducibile sullo schermo. Trovo invece un ottimo compromesso quello adottato dalla Scala. Conosco molto bene Davide Livermore e lo stimo profondamente. Debuttai giovanissimo sotto la sua regia il mio primo Nemorino e ne amai subito le scelte registiche e le ambientazioni. Tra l’altro lui è tenore, quindi sa quali sono le potenzialità ma anche i limiti di un cantante lirico. Poi è un uomo di straordinaria cultura. Adorai da subito la sua scelta di affiancare L’elisir d’amoredi Donizetti a La strada di Fellini. Teatralmente funzionava molto bene e ho notato che ha riproposto la stessa ambientazione anche il 7 dicembre. Una “prima” scaligera che ha fatto bene alla cultura.
Cosa le è piaciuto di questa scelta controcorrente?
L’idea di proporre uno spettacolo come A riveder le stelle in questa particolare circostanza è stata geniale perché non fa che ricordarci quanto sia immensa la tradizione operistica italiana. È un incentivo a tornare nei luoghi della cultura, i luoghi di tutti i cittadini, appena questa pandemia sarà finita. Ricordiamoci che il teatro d’opera, soprattutto a partire da Verdi, è sempre stato quello che ha difeso gli ultimi, i reietti, quelli che non avevano un posto nella società. Sul palcoscenico, magicamente, diventavano i protagonisti.
Nostalgia della lirica, adesso che ha svoltato nel pop?
Vedo la mia condizione di artista “trasversale” come un punto di forza, sono un eclettico, ho amato e amo tuttora il mondo della lirica, la sua potenza, come diceva Dalla in Caruso, che è stata poi la prima canzone pop che ho eseguito in pubblico, a Bologna, proprio davanti a Dalla. E lo scorso marzo ho voluto omaggiarlo con il mio brano Dalla finestra di Lucio, ispirato a una sua toccante lettera. Tuttavia, dopo venti anni di lirica, la mia creatività mi ha portato a percorrere altre strade, altri generi musicali. Ma è avvenuto tutto in modo molto naturale, come una fascinazione graduale e costante. Non ho lasciato nulla, perché nulla mai si lascia veramente. Le mie basi, la mia solida formazione è tutta classica, da lì provengo ed è un’esperienza indelebile.