Musica. La pianista Torre: «Comporre per il Papa mi ha ridato la vita»
La pianista e compositrice Giuseppina Torre (Zoe Ferrara)
«Ero a terra, avevo perso tutto, tranne mio figlio. All’improvviso è arrivata una chiamata. “Giuseppina, ho pensato a te per musicare il documentario su papa Francesco e l’arte”. Lì, da quel momento, sono rinata. Una mano ha tolto il lucchetto che teneva chiuso il mio cuore». Sul cuore e sull’anima della talentuosa pianista siciliana pulsavano ancora le ferite inferte dalla persona a cui aveva donato tutta se stessa e il loro figlio Emanuele. La mano che le ha lenite è stata quella del Papa, la stessa che nel documentario Papa Francesco La mia idea di arte si vede sfogliare le pagine dell’omonimo libro da Bergoglio scritto insieme alla giornalista Tiziana Lupi. Un testo diventato documentario (diretto da Claudio Rossi Massimi), uscito in questi giorni in Dvd, in cui papa Francesco fornisce la sua concezione dell’espressione artistica come testimone credibile della bellezza, strumento di evangelizzazione e di contrasto al dilagare della “cultura dello scarto”, la stessa che produce i poveri, gli esclusi, gli ultimi della società. Un filmato a cui Giuseppina Torre è stata chiamata a porre, accompagnando il racconto delle varie opere mostrate, il sigillo della propria musica. «In quel momento della mia vita – svela – anch’io mi sentivo uno scarto. Vessata, umiliata, abusata psicologicamente e fisicamente. Non avevo più nulla. L’uomo che mi aveva fatto tutto ciò voleva portarmi via anche mio figlio. Poi ho trovato la forza di denunciarlo, prima che succedesse qualcosa di più grave. In quei momenti però sei sola. Finché non è arrivata una nuova luce».
Salvata dalla musica, si potrebbe dire.
«La musica era già la mia forza, ma non bastava perché quell’esperienza traumatica con mio marito mi aveva inaridita. Certo, c’era mio figlio a farmi da faro nel buio in cui ero stata scaraventata. Ma serviva una mano ancora più potente. È arrivata, proprio nel momento in cui ero letteralmente a terra».
Com’è andata esattamente?
«Era l’ottobre del 2016 quando mi ha cercata la Draka Distribution, nella figura di Corrado Azzollini, amico di Mimmo Cappuccio con cui collaboro, qui autore degli arrangiamenti. In contatto con Imago Film, conoscevano le musiche che avevo realizzato per alcuni documentari di Roberto Olla, che dalla Rai è ora passato a Mediaset. Pensi che in quel momento non mi era rimasto più nemmeno il Mac per lavorare. Papa Francesco è lo spartiacque della mia vita, non solo artistica. Da lì è iniziata la mia rinascita. E appena posso Assisi è la mia meta. Ci sono appena stata per Pasqua».
Eppure soltanto nel 2012 la sua carriera aveva avuto una impennata incredibile vincendo quattro Los Angeles Music Award e molti altri premi.
«Da quell’exploit, nato per caso dopo che avevo caricato su i-Tunes un mio brano, sono però peggiorati i miei guai familiari. All’inizio la violenza psicologica di mio marito consisteva nello sminuire la mia persona, poi è arrivata quella fisica quando non ha più potuto dominarmi emotivamente dopo la svolta della mia carriera che mi aveva donato più consapevolezza del mio effettivo valore. Sta a ciascuno di noi partire dalla sofferenza per rinascere e scoprire una forza che non si credeva di avere. Ora tutto questo lo racconterò».
In che modo?
«Sto scrivendo il mio nuovo lavoro che svelerà di me ancor più del precedente disco Il silenzio delle stelle. Un disco che mi racconterà da quando ho iniziato a comporre per papa Francesco. Da quando cioè il mio cuore ha smesso di essere blindato e sono cambiata dentro. Da lì è cominciato un fluire di emozioni e di note. Scrivere per cantare la bellezza, per dare ulteriore voce al messaggio che l’arte ha in sé, accompagnando il pensiero e le parole del Papa, è stata la mia salvezza e una nuova sorgente ispirativa».
Ma il Papa l’ha incontrato?
«Purtroppo finora l’ho soltanto intravisto al concerto dell’Epifania del 2014 che andò in onda su Rai 1. Però mi è stato riferito che è rimasto colpito dalle mie musiche, anche se quando mi hanno commissionato il lavoro le riprese filmate non erano ancora state realizzate e per trarre ispirazione mi sono dovuta affidare esclusivamente al libro».
Lei, in virtù della sua dura esperienza personale, sta intanto portando avanti anche attività di sensibilizzazione contro la violenza sulle donne...
«Vivo questa attività come una speciale missione. L’anno scorso ho per esempio suonato per Carla Caiazzo, quella mamma di Pozzuoli che venne bruciata viva. Feci un concerto al Teatro Umberto di Nola con una raccolta fondi per il locale Telefono Rosa. Io do la mia voce, porto la mia esperienza e la mia musica. Credo di essere stata fortunata perché ho avuto l’appoggio della famiglia e degli amici veri. In ogni fatto negativo c’è sempre l’occasione di crescere e di nutrire la speranza».
La colonna sonora del documentario inizia con un brano intitolato Dream World...
«Non a caso. Nelle mie composizioni è sempre presente una dualità. In questo brano, per esempio, sottolineo il naturale desiderio, il sogno appunto, dell’essere umano di vivere in un mondo perfetto. Perfezione che non esiste, ma a cui si può solo tendere. Così dallo sguardo incantato si passa all’azione, al movimento e a ciò che è in divenire nella vita. Per poi tornare nella pace, benché momentanea. Del resto, non si può apprezzare la quiete se prima non c’è stata tensione, tormento. Noi viviamo sempre in questo continuo contrasto, con la nostalgia di un’armonia da inseguire. È qui che ci viene in soccorso la bellezza».
E l’arte come strumento...
«Infatti nel brano Mirabilis Mundi è espresso il concetto stesso di papa Francesco di arte intesa come strumento. In questo periodo purtroppo siamo invece più propensi a farci distogliere dalla bellezza, a partire da quella della natura, del Creato. Così non siamo più capaci di meravigliarci nel profondo, forse perché siamo attratti da tutto ciò che è tecnologico. Lo vedo con mio figlio Emanuele, che ha undici anni. Per un genitore è una lotta quotidiana attrarre i giovani con la bellezza dell’arte, educarli al bello e far capire che noi siamo, in fondo, co-creatori».