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IL MITO. «The Wall», 30 anni dopo. «Un incubo ancora attuale»

Massimo Gatto sabato 2 aprile 2011
C’è una coerenza nella euforia visionaria di Roger Waters. Se nell’80, quando stava ancora nei Pink Floyd, il bassista di Cambridge respinse l’offerta di 2 milioni di dollari per un paio di spettacoli di The wall allo RFK Stadium di Philadelphia perché «ideologicamente incompatibile col senso di uno show improntato proprio sull’effetto disumanizzazione delle grandi adunate rock». Così in questo riallestimento del trentennale approdato ieri a Milano, «ho rifiutato perentoriamente gli stadi in favore dei ben più congeniali palasport». Così a Milano, dove avrebbe potuto riempire San Siro fino all’ultimo posto, questa riedizione dello show portato sulle scene dai Pink Floyd nel 1980 si ferma al Forum per sei repliche straesaurite; ieri, oggi, lunedì, martedì, il 6 e il 7 luglio.Anche se l’inevitabile dvd Roger lo girerà fra qualche settimana alla O2 Arena di Londra. Dove potrebbe materializzarsi pure David Gilmour per regalare voce e chitarra a brani come Comfortably numb, intanto però ci pensa Snowy White ad accollarsi la sua parte ai piedi e sopra il muro che cresce per tutto il primo tempo dello spettacolo fino ad occultare la scena tagliando in due la sala coi suoi blocchi bianchi su cui proiettori ad alta definizione disegnano scritte e immagini come quella di papà Eric Waters, tenente in seconda dell’Ottavo Battaglione dei Fucilieri Reali ucciso nel gennaio del ’44 sulla spiaggia di Anzio dalla bomba di uno Stukas, che durante Thin ice scivola sotto quella di un aviatore tedesco e poi ancora sotto quella di un marine americano, o quella di Neda Salehi Agha-Soltan, la studentessa iraniana falciata dalla milizia di Ahmdinejad la scorsa estate durante un corteo di protesta.Più filologicamente aderente all’originale della riedizione presentata nel ’90 sulla Postdamer Platz di Berlino per festeggiare la riunificazione delle due Germanie e soprattutto del film portato nelle sale da Alan Parker. «Non so dire se sia brillante o atroce, ma di certo lo trovo irresistibile» scriveva trent’anni fa l’importante settimanale musicale Melody Maker parlando di The wall e la sensazione è grossomodo la stessa che si prova in sala davanti a questa mega produzione da 60 milioni di dollari «sulla nazificazione di certi eventi pop e sulla alienazione a cui porta nella società odierna il culto della personalità». Anche se trent’anni dopo il messaggio pacifista si fa ancora più radicale, tagliente, provocatorio, come dimostra durante l’intervallo la proiezione sui 350 blocchi di cartone che formano muro le foto inviate dai fans con nome, data di nascita e di morte, di parenti periti in guerra o una Goodbye blue sky accompagnata dalla proiezione di bombardieri che sganciano ordigni, ma pure loghi industriali come a ricordare «che è guerra anche quella del capitalismo sulla povertà».Tutto in un clima cupo, depresso, infestato di donne-cavalletta, di vermi, di pipistrelli partoriti dalla fantasia del disegnatore inglese Richard Scarfee. «Mark Fisher, responsabile di produzione, come per miracolo riuscì a trasformare i miei disegni bidimensionali in mostri tridimensionali» spiega Scarfe ricostruendo la storia dei pupazzi alti dieci metri del maestro disarticolato come un manichino, della madre, della giovane signora Pink che si gonfiano in scena durante lo show nel volume di disegni, foto, ricordi Pink Floyd The Wall. Uno show cupo e duro. Ma che per Waters «è più necessario come mai».