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Tendenze . L'architettura contemporanea ritorna alla terra. Cruda

Leonardo Servadio venerdì 16 novembre 2018

Il nocciolo in terra cruda della cappella della Riconciliazione, a Berlino

La torretta si erge solitaria nella vasta pianura. Il parco di Negenoord, in Belgio, si distende accanto alle rive del fiume Maas segnando il confine con l’Olanda; un tempo da qui si estraeva la ghiaia, ora è una riserva naturale ricca di vegetazione e fauna. La torre, di recente costruzione (progetto De Gouden Liniaal Architecten), permette ai visitatori di osservare lo scenario naturale. La sua particolarità è di essere fatta di terra cruda battuta, forse la più antica tecnica costruttiva: ma questo è il primo edificio di tal fatta in Belgio, e per giunta è inteso per resistere anche alle alluvioni che avvengono con frequenza nei mesi invernali, malgrado che l’erosione dovuta all’acqua sia il peggior nemico di qualsiasi tipo di muro.

Oggi la terra cruda – rielaborata, miscelata con ghiaia e altre sostanze naturali che la rendono resistente all’erosione – sta tornando in uso: dopo la grande ubriacatura del cemento armato, dilagato nelle città in particolare dal secondo dopoguerra, questa tecnica antica viene riscoperta per le sue molteplici qualità.

Si scopre che l’antico è migliore del nuovo. Una gran parte del patrimonio storico architettonico, dall’Asia all’Europa alle Americhe, è in terra cruda; che le ziggurat mesopotamiche son fatte di questo materiale; che la città yemenita di Shibam, nella lista del patrimonio mondiale Unesco, è tutta composta da edifici in terra cruda, alcuni dei quali sono vecchi anche di cinque secoli e sono alti fino a nove piani; che in Sardegna i resti della civiltà nuragica (V, IV secolo a.C.) sono in terra cruda, come centinaia di migliaia di edifici storici presenti dal Piemonte alla Sicilia.

E la bioarchitettura pone l’attenzione sul fatto che gli edifici non sono solo forma: sono quel che più contribuisce a definire le condizioni in cui la popolazione vive. Le loro strutture determinano la quantità di energia che occorre consumare per ottenere al loro interno la temperatura ottimale e per conseguenza influiscono sulla qualità dell’aria che si respira per le strade e nelle case. Il modo in cui percepiamo le loro superfici contribuisce a farci sentire ad agio o a disagio. Per non dire del rapporto tra edifici ed economia globale: per ridurre al minimo l’inquinamento occorre inserirsi nella “economia circolare”, quella, cioè, in cui le attività umane non producono rifiuti e scarti.

Per tutto questo i muri in terra cruda offrono qualcosa che le altre tecniche costruttive non hanno. Se si abbatte un edificio in cemento il suo materiale dà luogo a un’enorme quantità di scarti, mentre tutta la terra cruda può essere presa e riusata tal quale, una volta impastata nuovamente con l’acqua.

Non solo, riferisce l’esperto bolzanese Ulrich Pinter: «La terra cruda purifica in modo naturale l’aria dalle sostanze nocive, dal fumo e dai cattivi odori, rendendo più che sufficiente aprire ogni giorno le finestre per qualche minuto. Non è un caso che in tedesco l’argilla si chiami “ Heilerde”, terra medicamentosa. Inoltre i muri massivi così fatti hanno una forte inerzia termica: mantengono di notte il calore del giorno e di giorno raffrescano rendendo all’ambiente le basse temperature notturne, riducendo al minimo la necessità di consumare energia per riscaldare o raffrescare la casa».

Pinter richiama un esperimento compiuto nel 1946 dall’architetto egiziano Hassan Fathy, uno dei padri nobili della bioarchitettura contemporanea, che allora lavorava per l’ufficio tecnico del Cairo. Per dimostrare all’amministrazione comunale che dotare un quartiere urbano di edifici in terra cruda fosse meglio che realizzarli con la tecnica del cemento armato, egli eresse vicini due modelli identici di case, l’uno in cemento, l’altro in argilla cruda. In quello di cemento la temperatura interna di giorno saliva fino a 35°C, superando addirittura quella esterna. In quella in argilla invece, si manteneva sempre intorno ai 22-23°C. Ma non ebbe successo: prevalsero coloro che propugnava quella che appariva come la tecnica nuova, cioè quella del cemento armato.

Oggi, essendo maturata la sensibilità ambientale, l’esperimento di Hassan Fathy avrebbe sortito risultati ben diversi. Il ritorno alle costruzioni in terra cruda è particolarmente forte in paesi dove l’attenzione ambientale si è diffusa più rapidamente, come la Germania. Ed emblematica di questa nuova tendenza è la cappella della Riconciliazione, a Berlino.

Una chiesa di identica dedicazione, costruita in stile neogotico a fine Ottocento, si era trovata schiacciata contro il Muro che dal 13 agosto 1961 divise in due la città, e la parte della comunità rimasta nella zona occidentale non poté più accedervi. Nel 1985 il governo decise di abbatterla per migliorare l’“impermeabilità” del Muro ai tentativi di fuga. Demolito il Muro, la comunità ricongiunta decise che la nuova chiesa sarebbe stata anche il segno della rinascita della città. La nuova edificazione fu affidata a fine secolo agli architetti berlinesi Rudolf Reitermann e Peter Sassenroth, che presentarono un progetto di edificio centrale a pianta circolare: la forma che si rivolge con eguale volto a chiunque vi si avvicini, da qualsiasi direzione. E fu scelto di costruirla in terra cruda, per renderla anche un segno del ritrovamento di un ambiente autenticamente umano e rispettoso dell’ambiente.

La realizzazione è stata affidata a Martin Rauch, che da diversi anni si era dedicato ad approfondire come fosse possibile che edifici in terra cruda costruiti secoli addietro durassero tanto nel tempo, elaborando a sua volta nuovi sistemi per aggiornare la tecnica antica e dimenticata. Ed è stato così che a Berlino quel che il cemento divideva, la terra ha riunificato. Segnando anche l’inizio di una nuova epoca fondata sulla ricerca della riconciliazione anche tra l’uomo e la natura.