Intervista. Teresa De Sio: Napule è... Pino
La cantautrice Teresa De Sio
IL DISCO Pino senza blues
Teresa canta Pino è disco d’autore, non album di cover. In esso – 15 brani ma poche hit – il blues scompare e la melodia si riveste di suoni tradizionali, pizzica o echi di world music dando colori inediti a canzoni che si riscopre quasi fosse la prima volta: con la marcia in più, grazie a interpretazioni attoriali, di scorgervi testi spesso mai emersi, nei cd di Daniele, col nitore che spettava a certe sue intuizioni. Il meglio? L’allegro banjo inatteso controcanto dell’omaggio alla gente che lavora di Lazzari felici, l’assorta elegia piano-voce di Chi tene ’o mare, il sound antico sulla poco frequentata Ninnananinnanoè, l’idioma musicale contemporaneo dato a Tutta n’ata storia e il toccante finale dell’imprescindibile Napule è con quello che la De Sio definisce «coro del futuro di Napoli», ovvero i ragazzi dell’Istituto Melissa Bassi di Scampia. Degna chiusa di un omaggio rispettoso pure esempio di come si possano rileggere i grandi mettendosi in gioco in modo inattaccabile, come non era mai accaduto sinora in dischi simili. (A.Pedr.)
«Mi ricordo i concerti insieme, quando mi chiamava sul palco sempre con un bellissimo sorriso». È solo nel momento in cui vola con la mente al sorriso dell’amico, che in Teresa De Sio la commozione prende il sopravvento su una spigliatezza contagiosa: la quale peraltro fa il paio col portato emotivo del cd in cui l’artista omaggia Pino Daniele, scomparso due anni fa, stando distante da retorica, celebrazione e malinconia per restituire invece (a tratti pure amplificandole) qualità musicale e testuale dell’opera del bluesman-cantautore più importante d’Italia. Con Teresa canta Pino la De Sio, classe ’52 e quarant’anni di carriera appena compiuti (esordì coi Musicanova nel ’76), torna ai dischi dopo cinque anni passati fra romanzi e teatro per quello che definisce «atto di devozione » a Pino Daniele. Di Daniele la De Sio riprende il repertorio in lingua partenopea con un’unica decisiva eccezione ( Un angolo di cielo) svelandoci spesso un artista molto più incisivo nella lettura dell’attualità di quanto la bellezza della sua musica e l’incanto del suo mix chitarra-voce abbia fatto cogliere. Ma nella sfilata di brani (non scontati) di Daniele che la De Sio rielabora tramite proprie chiavi musicali (folk, reggae, afrodub, danzante musica popolare, mandolini fiati e organetto) compare anche l’inedito ’O jammone ovvero il capo, collegato a una copertina su cui campeggiano il “gallo” Pino Daniele e la “gallina” De Sio. «Sono l’unica donna che si dà della gallina da sola», ride lei. «Fra noi c’è stato spesso confronto totale, ma sempre dentro una napoletanità comune e senza malevolenza. Oggi sento che è necessario ricordarlo, che Pino è stato gallo: cioè il cantore per eccellenza, quello che dà la sveglia al mondo che lo circonda aprendogli nuovi giorni».
’O jammone parla di «America che se n’è andata» dall’orizzonte della nostra musica, e di una persona che non parlava bensì agiva. Con disincanto, lo fa: avrebbe potuto celebrarlo, sembra averlo evitato…
«E spero che si noti, sì. Pino ha tracciato un solco su cui molti poi hanno seminato, ma non volevo la retorica. Anzi, a dir la verità… L’ho scritto subito, il brano, poco dopo la sua morte. E il disco pure, l’ho pensato subito. Però capivo che avrebbe prevalso l’aspetto emotivo e magari sarei stata fraintesa. Quindi mi sono trattenuta per due anni».
Nel brano si chiede anche dove sarebbe andata la ricerca di Pino: secondo lei, dove mirava?
«Abbiamo cenato insieme pochi giorni prima che morisse, e mi ha fatto ascoltare un sacco di dischi di flamenco. Stava studiando la chitarra flamenca, pure. Aveva intenzione di ampliare i suoi orizzonti».
L’album si apre con ’O scarrafone, spesso considerato di un Pino Daniele “minore”. Invece ha un testo di grande denuncia civile, anche se forse si coglie bene solo dalla sua voce in questo disco…
«Volevo rispettare le melodie ma anche far risentire le parole, e certi contenuti mi hanno interessato molto. ’O scarrafone indubbiamente parla degli ultimi, di chi è emarginato dal consesso civile dei “belli”: denuncia attualissima su cui non bisogna abbassare la guardia. Ma anche Fatte ’na pizza dietro un’apparenza scan- zonata mette l’accento sugli stereotipi che bloccano la crescita delle persone. Come a Napoli fa il mare di Chi tene ’o mare: sarà pure consolatorio, ma se hai soltanto quello…».
Perché in italiano la sola Un angolo di cielo?
«Eh, perché mi piace tanto tanto. È una preghiera laica, potente, che non per caso canto con l’unico ospite del cd, Niccolò Fabi. Lui non lo sa, ma averlo per me ha significato aprirmi a mia volta a una musica diversa, “bianca”, ad orizzonti ulteriori».
Nel brano si parla di essere “diversi” in senso alto, rispetto a mode e convenzioni. Si parla di Pino?
«Tutte le canzoni lo descrivono, in realtà. Quando si scrive precipitiamo sempre nei testi aspetti autobiografici, magari anche a nostra insaputa».
Il gallo Pino e la gallina Teresa si beccavano molto?
«Eh, c’era confronto continuo… Ed essendo io femmina venivo definita la sua versione al femminile, il che mi scocciava assai, solo ora sto capendo il valore di questa attribuzione. Facevamo percorsi diversi, lui afroamericano e blues, io folk, rock, esperimenti».
Fu difficile imporsi negli anni ’80 come cantautrice?
«Beh, diciamo che ho incontrato tutte le difficoltà che si possono immaginare per una donna sul lavoro».
La vostra grande musica napoletana ha eredi, oggi?
«Il tempo, galantuomo, dirà cosa resterà di rap e hip hop. Ma non è un problema partenopeo: è italiano, il dramma di una cultura considerata figlia povera del Paese. È vent’anni che va così, non solo in musica».
Quando Teresa De Sio tornerà a cantare Teresa De Sio?
«Intanto portiamo Pino nei teatri da marzo e spero anche in piazza, d’estate. Ma un disco di inediti mio è quasi pronto e sto iniziando un terzo romanzo: non ho smesso di scrivere, questo posso garantirglielo».