Agorà

TEOLOGIA. Lezioni su Gesù di Nazaret

Giuliano Vigini mercoledì 14 aprile 2010
Se si può dire che, nei quarant’anni trascorsi dall’Introduzione al cristianesimo alla prima parte di Gesù di Nazaret non è sostanzialmente cambiata la prospettiva di fondo di Benedetto XVI nel presentare il «Dio di Gesù Cristo», la sua figura e il suo messaggio, è chiaro che oggi, dalla cattedra di Pietro, per Benedetto XVI non solo la responsabilità di trasmettere la fede della Chiesa assume un peso più grande e una portata più vasta, ma diventa primaria la preoccupazione di individuare il modo più efficace «di proclamare al mondo intero la presenza viva di Cristo». Se di fronte a lui, infatti, ci sono sempre i lontani a cui far giungere la propria voce; i credenti da confermare nella fede, i fratelli di altre fedi con cui pazientemente costruire un dialogo fecondo, si sono aggravati e dilatati i problemi posti nella società di oggi dalla drammatica frattura fra vangelo e cultura.Il Papa è ben consapevole delle ardue sfide che deve affrontare. Filosofie e idee, comportamenti e stili di vita si scontrano oggi, non solo con l’insegnamento della dottrina cristiana, ma anche con i valori etici e sociali del cristianesimo, che dovrebbero invece rappresentare la via maestra verso uno sviluppo autenticamente umano. Questa situazione è stata determinata da varie cause, ma, fra di esse, sembra preminente quel falso concetto di libertà che ha generato una cultura dell’arbitrio, di cui individualismo e relativismo sono diventati i pilastri di sostegno. Una libertà, infatti, che si specchia soltanto in se stessa, escludendo Dio e perdendo ogni legame con la verità e il bene, si snatura e finisce col separare anche l’etica pubblica dal suo humus di riferimento che le dà significato e pienezza. Il decadimento del senso della vita, così intimamente legato alla persona e alla sua speranza di futuro; l’esplosione della violenza e delle sopraffazioni; la perdita del concetto di autorità; lo svuotamento dell’idea stessa di «bene comune» sono alcune delle conseguenze che si possono collocare all’interno di questa cornice, che ha favorito anche il progressivo disgregarsi della coscienza e delle responsabilità etica.La scristianizzazione della società continua ad andare di pari passo con la sua secolarizzazione: un fenomeno che si manifesta subdolamente in varie forme anche nella vita della Chiesa e nell’esperienza personale dei credenti, sia come fenomeno generale di assimilazione dello «spirito dei tempi», sia come fenomeno specifico di «deviazione» sul piano teologico o pastorale. Per raccogliere in un quadro di sintesi le riflessioni e le preoccupazioni di Benedetto XVI, basterebbe ricordare l’omologazione a certe mentalità e comportamenti, improntati soprattutto a un diffuso clima di soggettività e materialismo, che trovano minori resistenze in una fede diventata più debole e insieme in una maggiore fragilità psicologica e affettiva delle persone, anche del clero; la tolleranza verso atteggiamenti e linguaggi in sé condannabili, ma talmente diffusi da esser considerati acquisiti e tali, perciò, da far ritenere che il combatterli sia una battaglia inutile, già persa in partenza; l’adattamento o l’«aggiornamento» a esigenze o semplicemente a mode del momento, che allontanano dal cuore dell’annuncio cristiano e, subordinandolo ad istanze puramente umane, lo deformano e lo impoveriscono; lo sbilanciamento sulle cose dell’oggi, col risultato di restringere la visione cristiana a una dimensione funzionale e contingente, dimenticando le sue radici antiche e i suoi orizzonti lontani.Si aggiunga, sul piano specifico, il pericolo sempre in agguato di razionalizzare e relativizzare le verità di fede, rischiando così di deformare, immiserire e oscurare l’essenza stessa del mistero cristiano; l’appannamento del concetto di autorità, magistero e obbedienza, che determina teorie o atteggiamenti contrari all’insegnamento o alla disciplina della Chiesa; il sincretismo religioso, parallelo alla diffusione di nuove forme di spiritualità, ma soprattutto alla perdita o all’affievolirsi della coscienza della verità identificativa del cristianesimo; una certa «filantropizzazione» della pastorale, nella misura in cui essa tende a privilegiare le urgenze caritative e sociali rispetto all’impegno dell’annuncio di Gesù Cristo, morto e risorto; la personalizzazione in senso utilitaristico della fede, con conseguente relativizzazione degli insegnamenti del magistero e smarrimento del senso di appartenenza ecclesiale; il decadimento del senso del peccato, che diventa una strada aperta al soggettivismo nell’ambito della morale, specialmente quella familiare e sessuale; il distacco o lo scollamento profondo tra le proprie credenze e le posizioni non coerenti assunte nell’ambito delle scelte politiche su questioni di fondamentale rilevanza antropologica, etica e sociale.Sotto un altro aspetto, non si possono dimenticare le ricorrenti deformazioni polemiche relative all’eredità del Concilio Vaticano II, ossia la confusione generata da una sua falsa o parziale interpretazione: quella che Benedetto XVI chiama «l’ermeneutica della discontinuità e della rottura», contrapposta a una lettura corretta e completa dei testi, «l’ermeneutica della riforma», che avvia di volta in volta nuove riflessioni per rispondere più adeguatamente a istanze antiche e nuove, ma tenendo ben salda la fedeltà e la continuità dei principi, certi e immutabili, del «deposito della fede». Né si può sottacere la tendenza in molti a separare «vangelo e istituzione», nel senso di intendere il vangelo una realtà puramente spirituale e l’istituzione una struttura esteriore, mentre invece sono due entità inseparabili, perché «il vangelo ha un corpo, il Signore ha un corpo in questo nostro tempo. Perciò, le questioni che a prima vista appaiono quasi soltanto istituzionali, sono in realtà questioni teologiche e questioni centrali, perché vi si tratta della realizzazione e concretizzazione del vangelo nel nostro tempo». In questo sforzo di spiegare e approfondire, precisare e correggere si coglie in Benedetto XVI tutto l’impegno di spendersi per il vangelo, come vicario di Cristo che parla e agisce, «non per imporre la fede», ma per «sollecitare il coraggio per la verità».