Il bilancio. L'Italia del tennis ancora più in alto dopo Parigi
Il doppio femminile d'oro a Parigi: Sara Errani e Jasmine Paolini
Nel momento più poetico del tennis italiano, che peccato che non sia qui sul carro dei vincitori (adesso salgono tutti, ma per fortuna c’è posto) il sommo poeta dei gesti bianchi, Gianni Clerici. Prima di andarsene, due anni fa, ha fatto in tempo a vedere l’ascesa di Sinner e a pronosticare per il fuoriclasse altoatesino, allora n. 96 del ranking, un futuro da campione, con tanto di Davis da mettersi in bacheca assieme ai tanti trofei che sono puntualmente arrivati. Profetico Clerici che dall’alto della sua tennisitudine mai avrebbe immaginato però il momento catartico che abbiamo vissuto a Parigi. “Ma Jannik Sinner? Sinner chi…”, è lo sfottò che rimbalza come una pallina autografata dai tre eroi nazionali intorno al Roland Garros all’indomani della doppia impresa dell’Italtennis: bronzo storico di Lorenzo Musetti nel singolare maschile e dulcis in fundo, oro da leggenda di Sara Errani e Jasmine Paolini nel doppio femminile. Parigi o cara per il tennis italiano, anche senza schierare il n.1 del mondo, il nostro sempre carissimo e prezioso Jannik. E anche se lo spirito olimpico privilegia l’importanza del partecipare, gli azzurri in gara ai Giochi hanno pensato di proseguire il trend cannibale che vuole i ragazzi con la racchetta tricolore tra i più vincenti del pianeta. Queste due medaglie sono gocce olimpiche che vanno a piovere sul bagnato.
I campi, dalla terra battuta all’erba passando per il sintetico, sono tutti seminati di speranze per il futuro. Un futuro fatto già denso di certezze, a cominciare dalla passione rigenerata e rigenerante che fa della Federtennis e Padel una fortezza da quasi 1 milione di tesserati (950mila alla vigilia dei Giochi ma con numeri in aumento). Con la crescista spasmodica dei praticanti (il padel pur essendo forse “il tennis degli scarsi”, cito Nicola Pietrangeli, è un grande traino commerciale) i circoli fanno fatica ormai ad accogliere tutte le richieste degli aspiranti Sinner, Musetti, Berrettini… Ragazzi che chiedono di poter avere un maestro a disposizione per emulare quegli idoli, in primis dei propri genitori. Loro sono il pubblico pagante che affolla gli stadi del tennis, come il Roland Garros, che per la semifinale Musetti-Djokovic ha stoppato gli accrediti stampa e messo fuori il cartello “evento ad altissima richiesta biglietti”. “Il tennis tira e fa numeri quanto il calcio”, sostiene a petto in fuori il presidente della Fit Angelo Binaghi. Un “Lotito del tennis” per i suoi nemici che gli invidiano i successi e un’ascesa senza fine. Il giovane Binaghi negli anni ’80 girava per i tornei piazzandosi al 16° posto del ranking. Ma se da tennista non se lo ricorda quasi nessuno, ora il n.1 della Fit rimarrà alla storia per il doppio podio olimpico di Parigi. “Il tennis italiano fattura quanto il calcio”, dice spesso guasconamente, ma non troppo, il n.1 della Fit. E in effetti basta guardare l’impatto mediatico degli ultimi eventi preolimpici: il derby di Wimbledon Sinner-Berrettini trasmesso da Sky ha sfiorato 1 milione di telespettatori, secondo miglior ascolto di sempre per il torneo londinese.
C’è stato un tempo, ormai dimenticato, in cui il movimento si reggeva solo sulla grazia delle donne. La pallina girava sempre a favore di campo per le ragazze del "Dream Team" che vinsero la Fed Cup con la Squadra in cui figuravano Francesca Schiavone, regina del Roland Garros 2010 e Flavia Pennetta campionessa Slam a New York, in una finale tutta azzurra vinta contro Roberta Vinci. Questo ora è il tempo del fantastico mix maschile e femminile. Sono gli anni formidabili della Davis vinta dagli azzurri quasi mezzo secolo dopo la finale politicizzata di Santiago del Cile. Questa è l’era di Sinner capace di trionfare lì dove nessun italiano si era mai spinto, all’Australian Open. E poi il fantasma dell’ Opéra di Parigi ha infilato anche l’Atp 500 di Rotterdam, il Masters 1000 di Miami e il 500 di Halle sull’erba. Forti e presenti anche nel doppio, non solo femminile, perché Simone Bolelli e Andrea Vavassori sono stati due volte finalisti Slam.
Manca poco per una top ten di dieci italiani tra i primi 100 dell’Atp, ora sono 9. Intanto fa una certa impressione a tutti, ma non al convintissimo Binaghi vedere Sara Errani salire a 37 anni sul podio di Parigi con l’oro al collo. E non lo sorprende neanche la crescita costante di Jasmine Paolini che dopo aver vinto il Wta 1000 di Dubai sempre in coppia con la socia olimpica Sara si è presa gli Internazionali di Roma 2024 e ha danzato fino in fondo a Parigi e a Wimbledon. Due finali perse, ma è anche da quelle sconfitte regali che nasce l’oro del Roland Garros con la Errani. Sta rialzando l’asticella, che per Binaghi va sempre tenuta altissima dai suoi azzurri, anche Matteo Berrettini che tutti, a cominciare dai suoi compagni dell’Italtennis sono convinti che il prossimo sarà il suo anno. Da Parigi o cara, il tennis italiano torna quasi con lo stesso appeal con cui l’atletica azzurra aveva salutato Tokyo: fortissima. Umiltà e piedi per terra per carità, perché lo sport va alla stessa velocità dei mezzi tecnologici, ma non sbaglia Binaghi quando dice che ormai il tennis italiano è un “modello nel mondo”. Un’operazione di rilancio perfettamente riuscita perché pensata sul lungo periodo. E i risultati straordinari ottenuti, sono il frutto di una organizzazione e di una meritocrazia da cui dovrebbero prendere spunto altri settori del Paese reale, ancor prima che gli abitanti e i dirigenti della galassia di Olimpia.