Il cardinale. Tolentino: «È tempo di ascolto, visione e creatività
Il cardinale José Tolentino de Mendonça
Il profilo intellettuale di José Tolentino Mendonça, poeta e cardinale, è complesso e articolato tanto quanto l’impegno che affronta dall’autunno scorso, quando papa Francesco lo ha nominato prefetto del Dicastero per la cultura e l’educazione che ha raccolto l’eredità dei precedenti Pontificio consiglio della cultura e Congregazione per l’educazione cattolica. Ma la voce dello scrittore, una delle voci più nitide della letteratura portoghese contemporanea, e quella del tessitore di reti culturali non dissonano, anzi: «Come diceva Rimbaud – spiega – il poeta è un veggente. Ecco, la visione: è questo è il contributo che posso offrire all’interno della missione della Chiesa, perché bisogna costruire a partire da una visione della persona e della storia; una visione culturale, una visione del destino umano, una visione dell’orizzonte di senso della nostra esistenza. Se tutto parte da una visione, non c’è da stupirsi che un poeta manifesti grande passione per la creazione di reti culturali. Cultura ed educazione sono due voci, ognuna delle quali è un locus teologico dove l’umano si capisce in profondità; nella cultura e nell’educazione possiamo davvero cogliere che cosa sia la generatività vitale del cristianesimo. Non sono strumentali, non sono mezzi per portarci a costruire il cristianesimo altrove: no, il nostro desiderio è costruire la speranza cristiana all’interno del modo educativo, all’interno del mondo culturale». Una costruzione che, maturata in questi mesi di organizzazione del nuovo dicastero, sfocia ora in una serie di iniziative di alto profilo, che si susseguiranno una dopo l’altra nelle prossime settimane. A Venezia, alla Biennale Architettura, ritornerà il Padiglione vaticano «nello spirito di papa Francesco – illustra Tolentino –. Guarda cioè al futuro e all’amicizia sociale, nel solco delle encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti: i lavori di Álvaro Siza e dello Studio Albori costituiranno un incontro a metà strada tra l’architettura e la natura; un’architettura mobile, in cammino, partecipativa, fatta di riuso e quindi di restituzione: arte per accogliere la vitalità dell’uomo nel suo quotidiano». Contemporaneamente, a Torino al Salone del Libro, prenderanno il via i dialoghi con il mondo letterario a partire dall’interrogativo “Chi dite che io sia?” mettendo faccia a faccia Sandro Veronesi e Antonio Spadaro. Anche qui seguendo l’insegnamento di papa Francesco: « La Chiesa ha bisogno di narratori, di poeti, di registi capaci di pensare di nuovo la persona di Gesù – prosegue Tolentino –. Organizzeremo dialoghi a partire dallo stesso interrogativo in tutte le grandi fiere, da Guadalajara a Francoforte, per parlare di Gesù assieme agli scrittori proprio là dove il libro è protagonista ». Ci saranno poi le iniziative del Dicastero per la cultura e l’educazione in occasione degli anniversari di Pascal e della Collezione di arte moderna e contemporanea dei Musei Vaticani, a giugno, e ad agosto la Gmg di Lisbona, «un fatto educativo globale» dove si terrà, con la partecipazione degli studenti e dei docenti, un confronto sul ruolo e le prospettive delle scuole cattoliche, oltre a un incontro del Papa con il mondo della cultura portoghese e internazionale.
L’impressione è quella di un lungo periodo di preparazione che arriva finalmente a maturazione.
Sì, queste iniziative si susseguono in modo serrato perché traducono un percorso interno compiuto durante l’ultimo anno. Un anno, in gran parte, di costruzione, dedicato alla creazione di équipe, allo sviluppo di rapporti interni, ma soprattutto alla costruzione collettiva di una visione. Quando la visione c’è allora la creatività si scatena e diventa azione, sia nel campo educativo sia nel campo culturale.
Da dove partire?
Il primo incontro che abbiamo fatto è stato sulla chiusura di tante scuole cattoliche. Una scuola chiusa è una parte di Chiesa che diventa inattiva. La crisi della vita religiosa, il declino dell’educazione cattolica, il venir meno delle forze di tanti istituti religiosi sono tutte varianti di questo di questo problema. Dobbiamo trovare insieme le soluzioni: per questo occorre motivare la rete cattolica, anche quando il progetto non sembra più sostenibile. Si possono condividere le responsabilità, anche dei fallimenti, però la Chiesa non può disertare il campo educativo: da una parte perché è una presenza vitale della sua storia di evangelizzazione, dall’altra perché la Chiesa ha ancora in sé le forze e le possibilità di riorganizzare le diverse strutture per farle diventare più aggiornate e più forti, con più capacità di riai bisogni della vita delle famiglie contemporanee.
Come si colloca questa azione nel momento storico presente?
È, questo, un tempo di ascolto: il nostro invito agli operatori della cultura e dell’educazione è quello a un incontro libero, per arrivare poi a programmare un lavoro comune. Non abbiamo una soluzione già confezionata, ma la volontà di compiere un cammino insieme. La più grande difficoltà culturale oggi per la missione della Chiesa è il pessimismo antropologico, così diffuso nel mondo della scienza e della cultura; invece il cristianesimo è l’arte della speranza, come insegna san Paolo: spes contra spem. Il cristianesimo ha bisogno della speranza per diventare generativo: oggi il discorso cristiano in campo culturale deve essere controcorrente, siamo chiamati non solo a enumerare ferite, ma dobbiamo rischiare una parola di consolazione, capace di vedere oltre i problemi. Le risposte non arrivano mai dall’esterno, ma solo dal fondo dell’uomo, che ha bisogno di essere ispirato dalla speranza. Il nostro tempo ha bisogno di lasciarsi insufflare dallo spirito, così come Dio ha insufflato la vita ad Adamo. Oggi avvertiamo la necessità di questo soffio: gli artisti, i poeti, gli educatori lo sanno.
A volte sembra di osservare artisti o scrittori apparentemente interessati solo all’effetto e al clamore che possono suscitare le loro opere, senza che sia possibile cogliere un’ispirazione così attenta all’umano.
Certo, ci sono anche queste forme espressive. Ma io penso che dobbiamo accettare ciò che l’artista è capace di interpretare del nostro tempo: perché l’artista è pneumatoforo, è colui che porta lo spirito. Alcuni artisti cercano di dialogare con il momento, con l’istante; sono sincronici, quindi il loro ruolo è aiutarci a leggere criticamente il momento presente. Altri invece accettano che il loro contributo sia diacronico, che venga da più lontano, al di là del momento; la loro opera nasce nel silenzio e noi sappiamo che l’arte che sopravvive nel tempo è proprio quella che si apre al mistero.
Come aiutare a capire questa necessità di accettare la complessità della realtà del mondo culturale e artistico che abbiamo davanti, senza chiudersi?
Dobbiamo riconoscere che nella sensibilità cattolica a volte c’è incapacità di leggere il proprio tempo, perfino un forma di analfabetismo culturale. Se consideriamo come davvero cristiane soltanto le forme artistiche medievali o barocche, allora non riusciamo capire nulla della contemporaneità. Ci serve una riconciliazione con il contemporaneo. Papa Benedetto ricordava, proprio incontrando il mondo della cultura, che la Chiesa insegna la verità, impara la verità e ascolta la verità: la Chiesa non è padrospondere na della verità, è serva della verità, se ne lascia misurare e abitare. Se adottiamo questo atteggiamento allora saremo disponibili a fare domande, ad avvicinarci a forme nuove, ad ascoltare voci che ancora non abbiamo ascoltato, ad avere una giusta curiosità per la produzione di senso che la contemporaneità realizza.
Registriamo differenze nella risposta a questo tipo di proposta culturale e di dialogo tra il cristianesimo europeo e quello dei Paesi più giovani?
Alcuni problemi sono tipicamente europei, altri contesti ne hanno di differenti. Il cattolicesimo è abbraccio all’universalità nella diversità: per questo papa Francesco usa immagini come il poliedro e rimarca come l’armonia possa riuscire a mantenere le differenze. E perfino i conflitti.
Il dibattito culturale guarda tanto, e anche con preoccupazione, alla tecnologia in movimento, e in particolare a quell’intelligenza artificiale che non riusciamo a comprendere del tutto. Che fare, in positivo o in negativo?
Anche qui è necessario un confronto educativo e culturale con la modernità che è già tra noi. Non possiamo escludere la tecnologia, ma dobbiamo essere ben coscienti che il nostro compito è fare sì che la tecnologia diventi un alleato dell’umano e dei grandi valori dell’umanesimo, il grande antidoto contro le distopie: occorre il rafforzamento dell’educazione, del pensiero politico e della cultura. Dell’amore. Dante continua ad avere ragione, perché ci dice quello che ci dice il nostro cuore: è sempre “l’amor che move il sole e l’altre stelle”.