Televisione. Tagli all'editoria, se Report colpisce il bersaglio sbagliato
Non abbiamo mai lesinato elogi a Report, il programma d’inchiesta di Rai 3, portato al successo da Milena Gabanelli, che lo ha condotto per vent’anni. Abbiamo sempre definito quella della Gabanelli una tv scomoda, che non guarda in faccia nessuno, dura ma buona. Altrettanto abbiamo detto di Sigfrido Ranucci, che ha raccolto il testimone di questo format sostanzialmente controcorrente, a tratti un po’ ideologizzato, comunque capace di proporre inchieste sul campo, in modo coraggioso, intraprendente ed efficace. Però, come dice l’adagio, a tutti i poeti manca un verso o, più prosaicamente, non tutte le ciambelle riescono col buco.
Ecco allora che anche il buon Sigfrido, con il fedele Bernardo (inteso come Iovene), può sbagliare mira e colpire il bersaglio sbagliato nel momento sbagliato. È successo lunedì scorso con la puntata di Report sui finanziamenti pubblici ai giornali. Ad essere presi di mira in avvio di trasmissione sono stati due quotidiani cattolici: quello locale di Lodi, “Il cittadino”, e quello nazionale, “Avvenire”, per l’unica colpa di avere la Chiesa alle spalle. «Ah, c’è la curia dietro – commenta ironico Iovene intervistando il direttore del “Cittadino”, Ferruccio Pallavera –: così si spiega tutti i soldi che arrivano!».
«Ma i vescovi hanno bisogno di essere finanziati dallo Stato per fare un giornale?», domanda provocatoriamente il giornalista di Report al direttore di “Avvenire”. «Non sono finanziati i vescovi – precisa Marco Tarquinio –. È finanziato lo strumento che risponde alle esigenze che la legge stabilisce». In questo senso «il finanziamento pubblico rende liberi perché i cardini su cui si fonda sono la difesa dei diritti fondamentali, la libertà, l’indipendenza e il mantenimento di un tasso decente di pluralismo».
Che in questo momento, lascia intendere Tarquinio, appare a rischio. L’inchiesta prosegue coinvolgendo altri quotidiani la cui proprietà non è chiara a differenza di “Avvenire”, ma vengono ugualmente messi sullo stesso piano. Non solo: l’inchiesta viene punteggiata da interventi, questa volta stranamente senza contraddittorio, del sottosegretario con delega all’informazione e all’editoria, Vito Crimi, che annuncia la progressiva abolizione dei contributi all’editoria.
Una seconda parte del programma sposta l’attenzione sui pochi euro a pezzo che in molti casi gli editori riconoscono ai collaboratori dei giornali. Ma non si chiarisce che ad esempio “Avvenire” non rientra tra questi, mentre rientra tra quelli a cui Ranucci, stando al pistolotto conclusivo, vorrebbe non andassero più i finanziamenti pubblici, mettendo ancora una volta il quotidiano dei cattolici italiani sul piano sbagliato.
Alla fine, per un motivo o per un altro, non si salva nessun giornale. Resta pertanto da chiedersi che senso abbia un’inchiesta Rai trasformata in attacco alla stampa, parallelo a quello della politica, in un momento così delicato per un settore che nel bene o nel male è garanzia di pluralismo. Un attacco per di più da parte di una trasmissione fatta da giornalisti che più di tutti gli altri godono del finanziamento pubblico. Cos’altro è il canone?