Prosa. Teatro la Ribalta compie dieci anni. Quando la diversità è arte pura
"Lo speccio della regina" del Teatro La Ribalta
Da dieci anni esiste in Italia una compagnia speciale che è un vero esempio. L’Accademia Arte della Diversità-Teatro la Ribalta diretta da Antonio Viganò ha appena celebrato il decennale della sua attività come prima e ancora unica Cooperativa teatrale professionale italiana costituita in maggioranza da uomini e donne in situazione di disagio psichico e fisico che sono diventati attori professionisti. Questa una sintesi dei dati dei 10 anni di attività: 18 creazioni complessive, 704 recite, 9 paesi europei e 4 extraeuropei in cui sono stati invitati, il premio Ubu nel 2018, il premio Hystrio nel 2021, i premi Eolo nel 2016 e 2018.
Per celebrare questo traguardo importante a questa cooperativa è stata dedicata un’intera rassegna, Corpi eretici che ha riassunto tutta la produzione di questi anni, che sono ancora in tournée in Italia e all’estero, ed ha debuttato un nuovo spettacolo Lo specchio della regina con testo e regia di Antonio Viganò e coreografie di Eleonora Chiocchini. Lo spettacolo, dopo un’anteprima a Bolzano Danza, sarà in tournéé il 2 luglio al Festival di Pergine e poi a Roma, Napoli, Cuneo, Pavia, Potenza e Genova «Dieci anni fa nasceva a Bolzano la prima Cooperativa teatrale professionale costituita in maggioranza da uomini e donne in situazione di “disagio psichico e fisico“, nei protocolli definite “persone svantaggiate“. Uomini e donne che hanno scelto, dopo 4 anni di attività di formazione e creazione, affiancati dalla Lebenshilfe e dal Fondo Sociale Europeo, di diventare attori e attrici professionisti. Lavoratori dello spettacolo a tutti gli effetti – spiega ad Avvenire Antonio Viganò direttore artistico della compagnia- È stata questa scelta una novità importante nel panorama culturale italiano con riflessi diretti anche sulle politiche di inclusione sociale. Questi attori volevano confrontarsi con l’arte del teatro e non chiedevano indulgenze al pubblico, ma di essere giudicati solo ed esclusivamente per il loro lavoro».
Viganò, che proviene dalla Scuola del Piccolo Teatro di Milano ha conosciuto in Francia negli anni ’90 la prima compagnia europea donne e uomini professionisti in cui ha lavorato per 10 anni. Finché il suo progetto ha messo le radici a Bolzano grazie a Provincia, Comune, Bolzano Danza e Lebenshilfe. «Nonostante, fin dalla nascita, ci siamo definiti una Compagnia teatrale, un soggetto culturale, che vive grazie a sovvenzioni e contributi provenienti dalle Istituzioni Culturali e dal mercato teatrale, con una percentuale pari al 89 %. Il restante 11% ci viene attribuita dalle politiche sociali e nonostante tutto continuiamo a batterci per ribadire che non vogliamo essere un soggetto “socialmente utile“, ma un “soggetto “ culturalmente necessario“» aggiunge Viganò. Insomma, non intenti terapeutici per questo teatro, ma artistici, «rivendicando un luogo dove poter sperimentare, come lo è per ogni altra Compagnia teatrale, questa loro vocazione e questo possibile talento. Questa Compagnia voleva essere un luogo di incontro dove le persone potevano confrontarsi sul mistero della diversità. Un luogo dove al “diverso” viene offerta la possibilità di essere guardato con curiosità, stupore e ammirazione, senza imbarazzo né vergogna». Insomma, attori professionisti in scena, regolarmente pagati con contratti a tempo indeterminato che la lavorano tutto l’anno. La qualità del lavoro dipende anche da questa continuità. Con opere sorprendenti, Impronte dell’anima sull’eugenetica nazista, Otello, Il ballo ispirato a Sartre e Pirandello e il delizioso Lo specchio della regina ispirato a Biancaneve. «Uno spettacolo basato sull’idea che gli altri ti giudicano, se non hai uno specchio è l’altro che ti definisce – spiega il regista autore del testo di Bianca & Neve da cui è tratto -. Qui c’è un regina ossessionata dallo sguardo dell’altro. E’ lo specchio a ribellarsi al destino atroce di ripetere sempre quello che fanno gli altri. Scappa e incontra Biancaneve e finalmente può essere sincero».
Il pregio di questi attori? «Non hanno nessun vanità e narcisismo, si donano totalmente e in scena ci sono precisione e purezza. Il teatro li emancipa dalla loro condizione, promuovendone la dignità - spiega Viganò -. In teatro sono portatori di “un mistero”, di una loro personale poetica, portano le ombre e le ferite che fanno nascere e nutrono ogni forma d’arte e anche la vita. Sono portatori di una verità».