Teatro. Konchalovskij a Napoli: così porto in scena e svelo Bergman
«I Mondiali di calcio in Russia? Non ho tempo di vederli perché sono chiuso qui in teatro per le prove. Ma mio fratello Nikita li sta seguendo, eccome». Nel buio della platea del Teatro Mercadante di Napoli, il regista Andrej Konchalovskij mostra un pizzico di rimpianto per non poter seguire i Mondiali nella sua madre patria, al contrario del fratello, Nikita Michalkov.
Figli dello scrittore e poeta Sergej Michalkov, autore dell’inno nazionale russo, e della poetessa Natal’ja Konchalovskaja, i due pluripremiati registi sono fra i più autorevoli esponenti del cinema russo. Incontriamo Konchalovskij, 80 anni portati in modo gagliardo, durante le prove di Scene da un matrimonio di Ingmar Bergman, di cui cura la regia nella nuova produzione del Teatro Stabile di Napoli - Teatro Nazionale Fondazione Campania dei Festival e Napoli Teatro Festival, dove debutterà il 3 e 4 luglio al Teatro Mercadante. Il festival partenopeo renderà doppio omaggio al centenario della nascita del grande regista svedese, anche col debutto italiano, sempre il 3 luglio, di Scénes de la vie conjugale, produzione francese con la regia di Safy Nebbou e Laetitia Casta. Nel ruolo che fu di Liv Ullmann nell’originale televisivo in 6 puntate diretto da Bergman nel 1973, nella versione italiana vi sarà invece Julia Vysostkaya, popolare attrice russa, moglie di Konchalovskij, già protagonista del film Paradise, Leone d’Argento a Venezia nel 2016.
Maestro, come ha portato a teatro un lavoro nato per la televisione?
«Non penso all’opera di Bergman come opera televisiva, ma guardo a lui come scrittore. Bergman ha scritto un grande pezzo di letteratura. I capolavori non hanno tempo perché indagano il mistero dell’essere umano. Qui si affronta il mistero del rapporto tra maschile e femminile, l’eterna battaglia dei sessi, una battaglia naturale. Si risolverà mai? Speriamo di sì».
Lei ha conosciuto Bergman? E il suo cinema come l’ha influenzata?
«Io volevo incontrarlo, ma lui non ha voluto vedermi. Non so perché. Era un uomo estremamente riservato e distaccato da tutto. Ho imparato molto da Bergman come da tutti i grandi classici del cinema mondiale: Fellini, De Sica, Buñuel, Bresson. Tutti grandissimi artisti. Anche fare selfie è cinema, un movimento di immagini con suono. Ma la differenza la fanno i grandi artisti che portano valore alle immagini».
Oggi il web moltiplica l’immagine. Lei come si rapporta coi nuovi mezzi?
«Non possiamo fermare lo sviluppo delle tecnologie, ma non voglio averci a che fare. Umberto Eco scriveva nell’ultima lettera a suo nipote: “La tragedia della civiltà umana è avere troppa immagine e sempre meno memoria”. Ecco, oggi c’è una valanga di immagini, ma manca il valore. La civiltà occidentale ha troppo di tutto, anche in questo. È la mancanza di tutto, invece, che crea l’essere umano: se hai tutto, si ferma il progresso».
Lei ha detto che oggi non c’è più contrasto tra capitalismo e comunismo, ma fra la civiltà occidentale e le altre.
«Esiste un contrasto tra la civiltà occidentale e quella non occidentale. L’occidente parte dal principio “noi e gli altri”, gli altri invece se ne infischiano di questo concetto. Una via di dialogo? Impossibile, se prima non si capisce che la realtà non è “occidentalo- centrica”. A scuola studiamo che il mondo antico comincia con l’Egitto, e dimentichiamo le grandi civiltà antiche di Cina e India, ed anche quella musulmana durante il Medioevo europeo. La realtà è molto più complessa e oggi ce lo dimostra».
Lei che ha lavorato molto a Hollywood, che ne pensa del nuovo clima di guerra fredda tra Stati Uniti e Russia?
«L’eurocentrismo e la sua espressione più macroscopica, che è l’America, stanno finendo, come succede ad ogni civiltà, davanti all’emergere di nuove forze come Cina, India e Russia. Stanno finendo anche le idee di universalismo europeo basate sui diritti dell’uomo come uguaglianza, libertà e fraternità. Il dio denaro ha resuscitato l’idea del capitalismo, con una distanza sempre più enorme fra ricchi e poveri. Spero nel rinascimento delle idee del socialismo, contro gli egoismi e l’avidità umana che ci sta portando verso la bomba atomica».
Lei come affronta questi temi nei suoi film?
«Noi siamo artisti e pensiamo ai sentimenti. Io voglio solo emozionare il pubblico. Ci sono solo tre sentimenti base al mondo: ridere, piangere e avere terrore. Tutti i capolavori del cinema si basano su questi principi».
Ha appena finito di girare fra la Toscana e Roma Il peccato, un kolossal italo-russo da 15 milioni di euro su Michelangelo. Che cosa racconta?
«Sarà pronto entro fine anno. A me interessa che al pubblico arrivi Michelangelo come essere umano, più che come artista, anche se faremo vedere il David, la Cappella Sistina... Non esistono solo buoni o cattivi, tutti siamo un cocktail di male e bene, siamo angelo e demonio. Dostoevskij ha detto che l’essere umano è il campo di battaglia tra il diavolo e Dio».
E qual è il suo rapporto con Dio?
«Einstein ha detto: la sola cosa che voglio conoscere è il piano di Dio, il resto sono dettagli. La cosa più interessante per tutti i grandi artisti è capire il progetto di Dio: l’uomo, lo spazio, i pianeti. Il progetto di questa grande Intelligenza è ciò che interessa di più anche a me».