La «primavera» stretta tra le mire dei militari e degli islamisti? In Egitto Younis Tawfik non c’è mai stato, ma chi legge il suo ultimo romanzo, ambientato al Cairo nei giorni della rivolta contro Mubarak, non se ne accorge. La genesi di
La ragazza di piazza Tahrir (Barbera, pagine 160, euro 13,50) è infatti per molti versi simile a quella delle primavere arabe che stanno al centro del libro: informazioni raccolte in rete, immagini rilanciate dalla tv via satellite, notizie che passano di bocca in bocca attraverso il telefono... «A differenza di quanto era successo poco prima in Tunisia – spiega Tawfik – la sollevazione popolare in Egitto era nell’aria da tempo. Le prime avvisaglie si erano avute nel 2007, nel 2008 ottocentomila persone avevano manifestato contro il regime rispondendo a un appello lanciato dai social network. Nel gennaio del 2011, quando l’uragano si è scatenato, molti di noi erano già in allerta». Nato in Iraq nel 1957, poeta e narratore, da sempre appassionato della nostra letteratura e da tempo naturalizzato italiano, Tawfik è un osservatore attento di quanto accade nel mondo arabo. «Ho visitato quasi tutti i Paesi della regione – dice –, ma non sono ancora stato al Cairo. Eppure, in quei giorni, era come se fossi lì».
Merito di Facebook e Twitter?«Amal, la protagonista del romanzo, entra in contatto con i sogni e le inquietudini degli altri giovani proprio attraverso la rete, e anche a me è capitato qualcosa di simile. Certo, è stata una rivoluzione sorretta dalla tecnologia, ma a renderla possibile è stato uno strumento molto più antico».
Quale?«La lingua, e cioè l’arabo semplificato che ha iniziato a circolare sul web, abbattendo le barriere tra una nazione e l’altra, creando un unico spazio di dibattito e di confronto. Ma non bisogna dimenticare il ruolo, davvero cruciale, svolto dalla televisione. Il maxischermo di al-Jazeera trasmetteva in tempo reale quello che accadeva in piazza, gli spettatori di tutto il mondo potevano vedere con i loro occhi gli sviluppi della protesta. Dove non arrivavano le telecamere, poi, arrivavano i video realizzati dai ragazzi con gli smartphone».
Mi scusi, ma lei crede davvero che i new media si siano dimostrati più forti dei blindati dell’esercito?«Nel mio libro ci sono molte poesie, l’avrà notato, e l’ultima riga coincide con un verso che mi pare abbastanza chiaro: “I lupi non sono ancora scomparsi!”. Già un anno e mezzo fa era evidente che la partita si era chiusa nel momento in cui i militari avevano negato il proprio appoggio a Mubarak, con conseguenze che appaiono di giorno in giorno più preoccupanti. L’esercito ha compiuto molti passi falsi, ma adesso potrebbe essere propenso ad accettare, almeno in via formale, l’elezione dell’islamista Mursi alla presidenza della Repubblica. Anche perché, stante la situazione attuale, quello del presidente è un incarico privo di vero potere. La giunta militare avrebbe tutto l’interesse a lasciare il campo ai Fratelli musulmani, addossando loro la responsabilità di un fallimento che purtroppo sembra inevitabile. Dopo di che, con l’acuirsi della crisi, l’esercito tornerebbe in scena, forte di un’apparente legittimazione».
Così il tradimento della rivoluzione sarebbe completo.«Il rischio c’è, nessuno è tanto ingenuo da negarlo. Ma nello stesso tempo sarebbe ingiusto chiudere gli occhi davanti alle trasformazioni che le “primavere” del 2011 hanno operato. La società araba, oggi, non è la stessa di due anni fa. Il ruolo delle donne, per esempio, è emerso in modo prepotente, non soltanto in Egittto e Tunisia, ma anche in Yemen, perfino in Siria».
Nel suo libro, tuttavia, la madre di Aman è la figura più conservatrice... «Molto spesso si pensa che il mondo arabo si afflitto da un problema di maschilismo, dimenticando che a pesare sulla condizione femminile è anche una visione distorta del matriarcato, sorretta da una cattiva interpretazione del Corano. Amal, nel romanzo, si scontra con la madre, ma nel frattempo scopre che la madre stessa è stata una ragazza come lei, che anche lei ha conosciuto l’amore e la passione. Non diversamente, da giovane il padre di Amal è stato un oppositore del regime di Sadat, è stato imprigionato per le sue idee e questo lo ha spezzato. Non ne ha mai parlato con i figli, neanche quando il fratello di Amal si è lasciato tentare dal fondamentalismo».
Invenzione o realtà?«Un’invenzione basata sulla realtà, direi. Nei Paesi arabi c’è un muro tra la generazione dei padri e quella dei figli. La memoria non viene trasmessa, le brevi utopie del passato non hanno più cittadinanza. Ma in Egitto anche questa barriera ha iniziato a incrinarsi grazie alla rivolta del 2011».
E i giovani occidentali? Non le sembrano più distratti rispetto ai coetanei arabi?«Finora è stato così, ma adesso ho l’impressione che la crisi stia smuovendo le coscienze. In Europa, oltre che negli Stati Uniti, i giovani si rendono conto di trovarsi in un momento di svolta: nulla sarà più come prima, questo lo abbiamo capito. Il mondo di domani, però, dipende dai ragazzi. E i ragazzi se ne stanno accorgendo, come dimostra in queste ore la ripresa delle manifestazioni in piazza Tahrir».