Fotografia. “Talking Hands”, le mani parlanti che raccontano un'Africa diversa
“Le madri di Thiaroye-sur-mer” di Diana Bagnoli per la mostra “Talking Hands, tre racconti al femminile per NoWalls”
Le mani di Khady Cisse sono incrociate. Sono mani consapevoli e rassegnate. Con suo marito hanno amato il loro nipote come un figlio: la barca su cui viaggiava in cerca di un futuro altrove è affondata. Lo hanno saputo quasi subito, questo li ha “salvati” da un'angosciosa e infinita attesa. Quella delle madri di Thiaroye-sur-mer, a Pikine in Senegal, che da anni aspettano notizie sui figli dispersi lungo il viaggio verso l'Europa. «Le conseguenze di accordi commerciali con i pescherecci europei, lasciati liberi di pescare davanti alla costa con le loro reti, hanno impoverito la comunità di pescatori di questa zona – racconta la fotografa torinese Diana Bagnoli –. Il mare non è più una risorsa sufficiente per il sostentamento delle popolazioni locali: fra il 2005 e il 2006 migliaia di giovani sono stati costretti a partite. Ed ecco madri in attesa di una telefonata, consumate dal pianto e dalla preghiera, che spesso, anche dopo dieci anni, non hanno perso la speranza di vedere i loro figli». Yaye Bayon ha perso il suo nel 2007 nel tentativo di arrivare in Spagna: «Partire era per lui l'unico modo di sopravvivere». Da allora Yaye dedica la sua vita all'associazione da lei fondata contro l'emigrazione clandestina che cerca di convincere i ragazzi a restare per cambiare la loro realtà da casa. Le sue mani sono un messaggio di resilienza e di tenacia. Ma ci sono altre mani, altri volti che parlano nell’interessante mostra Talking Hands con le fotografie di Diana Bagnoli, Ugo Lucio Borga e Filippo Romano, a cura di Luca Molinari e Paola Romano, promossa dall'Associazione “NoWalls” alla Galleria della Casa degli Atellani, in via Zenale a Milano, nell'ambito della Photo Week (150 eventi fino a domenica). Ci sono le mani fiere, orgogliose di Willie che tengono un pallone da rugby: gioca nelle Vivigals, la squadra femminile del Mathare Slum di Nairobi, e nella nazionale del Kenya. Accanto a lei – nello stesso slum – c'è Lucy che va messa, le sue mani tengono un ombrello viola che la ripara dal sole. E poi c'è Benta, in costume a bordo di una piscina. Nel Kenya delle sterminate praterie percorse da animali meravigliosi e gli slum abitati da milioni di persone, immagine di povertà e degrado, il fotografo Filippo Romano dà voce alle donne, restituendo un'immagine lontana dagli stereotipi: «Sono donne fiere, orgogliose che camminano a testa alta, che si raccontano in prima persona e “mettono le carte in tavola” di fronte all'obiettivo fotografico».
Altre mani e altri colori raccontano le fotografie in bianco e nero di Ugo Lucio Borga: sono i “Danni collaterali” – «le vittime civili sacrificabili senza troppi scrupoli» – delle guerre e crisi umanitarie fra Siria, Ucraina e Repubblica Democratica del Congo. Nel paese africano, a Massisi, ci sono le mani di una donna, vittima di violenze etniche, che tengono stretto a sé il suo bambino; c'è una manina chiusa di una bimba hutu che si dà coraggio davanti al fucile di un miliziano tutsi in un check-point a Rutshuru. «Le mani fanno, toccano, difendono, afferrano, parlano, raccontano. Al di là delle lingue del mondo – spiega Luca Molinari –. Sono mani al femminile. La donna appartiene alla parte fragile della popolazione, soprattutto in contesti di povertà e di guerre. Dal viaggio dei tre fotografi emergono tre spaccati diversi: l'attesa, l'orgoglio, il dolore. Ma in tutti e tre c'è un racconto che apre gli occhi. C'è una capacità di resistere, di mantenere la dignità anche di fronte al dolore, alle violenze e alla povertà anche più estreme».
Un racconto fotografico che colpisce, dunque, quello di Talking Hands, che non lascia indifferenti e suscita emozioni nuove di fronte a un tema così dibattuto e rappresentato. Come lo spirito che anima l'impegno di NoWalls, l'associazione di volontariato impegnata sul fronte dell'immigrazione con una chiara e nobile mission culturale: la sfida dell'integrazione che passa dall'insegnamento dell'italiano a migranti e immigrati, attraverso corsi diffusi in tutto il territorio milanese, centri di accoglienza, biblioteche comunali, scuole pubbliche (come il “Doposcuola senza muri” a sostegno dei ragazzini stranieri). Un'integrazione che passa anche dallo sport con la squadra di calcio NoWalls Internazionale Fc composta da giocatori di 14 etnie diverse. «Siamo partiti in due tre anni fa, oggi siamo 120. Facevo l'imprenditrice, avevo la mia vita – racconta il presidente dell'associazione, Angela Marchisio con il volto illuminato dalla passione e dall'umanità con cui ogni giorno si impegna per questa causa –. Un giorno, nel pieno dell'emergenza dell'accoglienza dei migranti, sono andata alla stazione centrale. Ho visto da vicino i loro volti, le loro mani tese. La notte non ho dormito. L'indomani ho pensato che avrei dovuto fare qualcosa. Ho cominciato al centro di via Corelli. Lì ho capito che la prima urgenza per l'integrazione è la lingua. La conoscenza dell'italiano è il primo strumento per essere parte della comunità. Così è cominciata questa avventura. Ora siamo in tanti, facciamo parte della rete di Scuole senza permesso. Promuoviamo attività culturali e ludiche. Un piccolo seme, certo, ma che genera grandi sorrisi».
Le foto della mostra Talking Hands (giovedì 6 l'inaugurazione alle 18 con Gianni Biondillo, Diana Bagnoli e Filippo Romano, poi aperta fino al 9, orari e info su www.nowalls.it) raccolgono questo spirito. «Mani che raccontano mondi diversi – conclude Paola Romano –. Il mondo delle donne, in questo progetto fotografico che documenta cause e conseguenze del fenomeno migratorio là dove tutto nasce». Per guardarlo con occhi diversi.