Alla fine forse davvero il nostro Paese è spaghetti e mandolino. Almeno stando alla tv. Nella selva di talent e reality che popolano i palinsesti del digitale e del satellite, quelli che muovono ancora gli ascolti e le chiacchiere (passate dal bar al web, nobilitate dall’aggettivo social) sono quelli che si occupano di cucina e di musica. Domani riparte uno dei maggiori successi della stagione scorsa, The Voice of Italy , con cui Raidue ha felicemente rimpiazzato X Factor, migrato su Sky (e che a sua volta riparte in questi giorni con la fase di scouting, questa volta anche online), dopo il fallimentare Star Academy. «Con oltre 3,3 milioni di ascolti è stata la gara canora più vista in tv», ha sottolineato il direttore di rete Angelo Teodoli. Dimenticando Sanremo, irraggiungibile negli ascolti anche con il calo vistoso dell’ultima edizione. Ma il lapsus ha un senso, perché forse il Festival, così come è oggi, dovrebbe essere ormai definitivamente rubricato nella categoria 'varietà musicale'. Nel nuovo The Voice molte conferme e qualche novità di rilievo. A partire dalla presenza di J-Ax (ex Articolo 31) al posto di Riccardo Cocciante, il quale «aveva già premesso che non avrebbe partecipato a una seconda edizione, perché aveva già in programma impegni internazionali con le sue opere» ha spiegato Gianmarco Mazzi, produttore artistico del programma. «Per me è la prima esperienza di questo tipo – spiega J-Ax –. Ho detto sì perché troppo spesso sullo schermo si vede qualcosa che con il rap non c’entra nulla. La tv ufficiale se ne è accorta ora, ma l’hip hop in Italia è importante dalla metà degli anni ’90. In gara non ci sono rapper, anche perché un vero rapper in un talent non ci verrebbe mai. Io sono qui per dare credito, per far capire che i tempi sono cambiati». Confermati invece gli altri coach Raffaella Carrà, Piero Pelù e Noemi. Novità anche sul fronte della conduzione con Federico Russo (che va ad allungare l’elenco dei volti di Radio Deejay a Raidue, proprio mentre il programma sarà rilanciato da Radio2) al posto di Fabio Troiano. La struttura del programma resta la stessa: le 'blind audition', in cui i coach ascoltano voltati i candidati e si girano solo se scelgono di volerli in squadra; una fase, più elaborata rispetto al primo anno, di duelli tra concorrenti della stessa squadra, e infine la fase live, in cui interviene il televoto. Quattordici puntate in tutto per un programma che, ribadiscono all’unisono le popstar sulle poltrone rotanti, «è uno spettacolo musicale. Per i concorrenti non è l’arrivo ma una tappa in un percorso». Ma la logica dei talent è quella della tv. Vivono grazie a voci nuove e volti freschi, da cambiare ogni anno. Sono show fortunati, perché hanno carburante abbondante per un viaggio dopotutto piuttosto breve. Ma per la carriera 'fuori' servono le canzoni. La merce oggi più rara in assoluto. Ieri, durante la presentazione, era la geremiade di tutti i capitani di The Voice: «Il motivo per cui uno ha successo è lo stesso per tutti: i pezzi. Punto», dice J-Ax. La Carrà puntua-lizza: «Prendete Veronica De Simone, che da The Voice è arrivata all’Ariston. Grande talento, ma la sua canzone non era all’altezza ». E Piero Pelù lancia un’idea: «Perché non realizzare un talent sul modello di Masterpiece per scrittori di canzoni?». «Ci stiamo pensando» commenta a caldo Teodoli.