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Letteratura. Susanna Tamaro: «Scrivo sapendo che la grande libertà nasce nella fede»

Lucia Bellaspiga venerdì 4 agosto 2017

Ha scritto storie profonde e dolorose, a volte drammatiche, ma con un peccato originale: «C’era la parola cuore nel titolo…». E questo bastò perché un libro dirompente come Va’ dove ti porta il cuore, vero caso editoriale che dal 1994 ha contagiato il mondo con 15 milioni di copie, fosse trattato «alla stregua delle frasi nei Baci Perugina. Certa critica guarda con sufficienza alla letteratura dei sentimenti e all’intimità dei pensieri, e ciò ne dimostra la povertà spirituale ». Comunque Susanna Tamaro è andata dritta per la sua strada, addolorata ma non intimidita, infilando un best sellerdopo l’altro e dimostrando (in buona compagnia) che è poi il tempo il vero giudice, e sono i lettori a decretare quale voce meritava di durare e quale di scomparire presto.

Così a Lerici, durante la 42° edizione della Festa di Avvenire, la scrittrice ha ricevuto dalle mani del vescovo Luigi Ernesto Palletti il premio Narducci 2017, «riconoscimento - ha spiegato il direttore del quotidiano, Marco Tarquinio - che ogni anno conferiamo a persone capaci di comunicare contenuti importanti per il tempo in cui hanno operato». E Tamaro lo ha fatto, con candore e coerenza: «Spesso la gente mi ferma e mi dice: lei ha scritto proprio quello che io sentivo dentro, ma non trovavo le parole per dirlo. Trovarle è il compito della letteratura – ha testimoniato sul mare di Lerici, intervistata da Alessandro Zaccuri, inviato di Avvenire e a sua volta scrittore –, ma questo la critica non te lo perdona, e in un mondo necrofilo come quello di oggi la mediocrità del sarcasmo non comprende una letteratura che lasci una finestra aperta sulla redenzione e la speranza. Se scrivi pagine cupe e disperate allora vai bene, altrimenti sembra che ti sia svenduta alla facilità più ovvia».

Così è accaduto anche con Anima mundi, «libro maledetto, ridicolizzato su certa stampa» perché raccontando le guerre dei Balcani toccava il tabù allora intangibile del comunismo e per di più affidava il finale di speranza alla figura di una suora cattolica. «Fosse stato un monaco buddista sarei passata indenne», ha ironizzato, «ma anche per coerenza paesaggistica, nei Balcani una suora era più consona. E tutto questo, unito al fatto che la mia famiglia è di esuli istriani, ha fatto di me addirittura una presunta fascista. Ho sofferto. È facilissimo uccidere un artista perché non regge l’odio gratuito, un po’ com’è successo a Lucio Battisti, ma ho un equilibrio interiore e ce l’ho fatta. E Anima mundiè ancora lì, i giovani lo leggono moltissimo». Indenne semmai è passata l’altra Tamaro, l’autrice di libri per bambini, semplicemente perché la critica non ha sovrapposto le due scrittrici. Ma è proprio questa la vetta per ogni autore, «scrivere per i piccoli è l’Everest, la cosa più difficile e sublime».

Quando poi le hanno chiesto, in quanto triestina e discendente di Italo Svevo, di scrivere un saggio sulla letteratura di Trieste, lei ci si è messa, ma ne è uscito tutt’altro: «Non sono Magris e non so fare saggi. Meglio era raccontare come in me bambina era nato il talento, chi scrive bene a scuola non diventa scrittore… Volevo capire i segni della 'malattia' contratta negli anni ’50». Nasce così Ogni angelo è tremendo, da un verso di Rilke che significa questo: ogni illuminazione ci chiede un prezzo da pagare. «La mia l’ho avuta da una nonna meravigliosa, convertita tardi. È stata la prima e unica che mi ha mostrato la libertà nel cristianesimo, e io, pensavo, da grande voglio essere come lei, con la grande libertà data dalla fede». La stessa in fondo cercata dai suoi personaggi, fino ad arrivare a La tigre e l’acrobata (2016), fiaba sì ma per adulti («in questi tempi ne hanno più bisogno»), dove Piccola Tigre, attraverso un lungo percorso iniziatico fatto di prove e cattivi e buoni incontri, raggiunge alla fine il passaggio, il varco, la sua visione rivelatrice.

Un libro, ha confidato a Lerici, nato quando Tamaro teneva la rubrica quotidiana Cuore pensante su 'Avvenire' (di nuovo il cuore…): «Scrivevo per il giornale e spesso mi tornava l’immagine della tigre, da sempre presente in me come simbolo della forza necessaria nel cammino spirituale. Quando l’ho finito ho capito che era questo il libro che volevo fare. E senza 'Avvenire' oggi non ci sarebbe ». Inutile dire che tanta speranza ha nuovamente indispettito i cultori della morte, «quel mondo contemporaneo che dice no alla vita, perché questa non si sottomette al dominio del nichilismo. Mi angoscia questa umanità che si prepara alla selezione darwiniana, mi fanno orrore i Paesi che si dichiarano Down-free [liberi da persone con sindrome di Down attraverso aborti selettivi, ndr], così come una società che gioisce su tutto ciò che è sterile ».

Parole libere che strappano l’applauso della folla venuta ad ascoltarla. «Chi difende la vita riceve duri attacchi – testimonia lei che da sempre non teme di schierarsi contro aborto, eutanasia, utero in affitto –, la società adorante del nulla dimentica che c’è l’eterno e questo rende la vita povera e manipolabile». Scrivere è faticoso, ma permette incontri che nutrono l’anima, come il ragazzo mediorientale venuto a chiederle un autografo e a dirle che le doveva tutto: «Iracheno di Bassora, aveva in mano Va’ dove ti porta il cuore in arabo e lì dentro aveva trovato il coraggio per salire su un barcone e cercare la salvezza». O la ragazza che nella squallida periferia di Vienna leggeva Anima mundi in tedesco dicendo «mi ha salvato la vita». «Alla faccia di Internet, questa è la potenza dei libri – ha concluso Tamaro –. Quando un libro mette in moto il cambiamento, ha usato parole che erano vive».