Quando la chiamavano Susie la sempliciotta. Quando a scuola le sue difficoltà di apprendimento - dovute al parto problematico della madre, che la ebbe quasi cinquantenne - venivano offese dal bullismo. Quando «Mi facevano più male gli sfottò delle botte». Quando insomma Susan Boyle non era una cantante da milioni di dischi nel mondo, e nessuno poteva immaginare la voce di quella donna - autodescrizione di Susan - «bassa e cicciottella, con vestiti terribili e spettinata». Eppure già allora i punti di riferimento di Susan Boyle erano chiari. La musica e la fede. La musica, «unica cosa che ero capace di fare»; la fede, «il mio rifugio, la spina dorsale della mia vita, la cosa più importante». Ed oggi la situazione non è cambiata, anche se Susan Boyle, oggi, è una star: con un disco stravenduto e un altro già pronto, milioni di contatti su Youtube e viaggi transoceanici per tenere concerti, una biografia in uscita e la nomea di esempio. «Perché se ce l’ho fatta io, con la mia timidezza ed il mio aspetto, in una società che guarda spesso alle apparenze, beh, possono farcela tutti». I suoi punti di riferimento non sono cambiati, se Susan Boyle, quando le chiedono cosa prova a pensare di cantare per il Papa, risponde trattenendo l’emozione a stento. «Era il sogno più grande della mia vita. Non riesco quasi a esprimere la mia felicità. Senz’altro farò del mio meglio, però il 16 settembre prossimo resterà nella mia memoria comunque vada, perché ho sempre sognato di cantare per Sua Santità. Da devota cattolica che recita ogni giorno il Rosario, sarà un onore incredibile». Il 16 settembre, durante il viaggio di Benedetto XVI nel Regno Unito, la Boyle sarà infatti la prima artista chiamata a cantare per il Pontefice durante la Messa che si celebrerà a Glasgow. E forse, chissà, per lei sarà come ripercorrere una vita portata dalla sua famiglia su due binari: musica e fede. Figlia di immigrati irlandesi, Susan Boyle è nata a Blackburn, in Scozia, nel 1961. «Papà cantava, mamma suonava il pianoforte, mio fratello scrive canzoncine, due mie sorelle cantano magnificamente. Sembravamo la famiglia di
Tutti insieme appassionatamente. Ma per me cantare era pure un’ancora di salvezza, per i momenti in cui mi sentivo sola». Ed un’ancora era pure l’educazione cattolica ricevuta dai suoi: «Quando a scuola non capivo più chi mi volesse bene e chi no, andavo in chiesa a pregare o mi recavo a visitare parrocchiani malati. E’ questo che mi ha aiutato a non perdere mai la speranza e ad affrontare i periodi bui». Come quando Susan Boyle trovò finalmente il coraggio di partecipare a un concorso canoro, a 33 anni: e il conduttore la derise in pubblico. O come quando se ne andò la sua mamma: e «fu l’unica volta che per un po’ non riuscii a cantare». Prima di provarci davvero, a realizzare il suo sogno, «perché Dio ci elargisce doni e dobbiamo farli fruttare». E Susan si presentò al reality
Britain’s got talent senza vincerlo, ma trovando ovazioni, successo, un contratto. E un mestiere. «Anche se il successo è come finire sotto uno schiacciasassi, è dura non perdere la testa». E per riuscirci Susan ha voluto inserire nel suo primo album
I dreamed a dream non solo voce e grinta, ma pure i suoi valori.
Amazing grace, storico brano di fede, «per ribadire che la speranza vince ogni paura».
How great thou art, «perché la spiritualità ha un grande significato per me, e poi questo inno mi ricorda quando cantavo con gli amici in chiesa». E pure a Benedetto XVI Susan Boyle canterà
How great thou art, certo. Ma chissà cosa gli direbbe, se potesse pure parlargli un poco. Francamente non crediamo direbbe al Papa dei dischi venduti, o dello squallore presente anche nel successo: come i sottotitoli che le hanno messo alla tv americana (nello show di Oprah Winfrey) per il suo accento popolano. E’ probabile che preferirebbe raccontargli dell’entusiasmo con cui prova a dare ad altri le opportunità che ha avuto lei, o a fare felici persone semplici. Preferirebbe dirgli magari della «ricerca di Susan» (
Susan’s search) con cui ha scelto una donna americana, medico, per duettare nel suo prossimo disco
The gift, o di come poche settimane fa è arrivata zitta zitta sul palcoscenico della cittadina di Polbeth nel
Children’s day, a premiare - inattesa - la bimba reginetta della festa. Difficile invece che avrebbe il coraggio di dire al Papa «l’emozione non è cantare per lei, ma incontrarla e sentirla parlare», come rivela sul suo sito Internet. Però sarebbe bello se una faccenduola sua gliela raccontasse. Proprio di quando la musica la fece diventare star e, dopo il reality, si trovò ingabbiata fra interviste, video, esibizioni… Sino a lasciarsi sfuggire il rammarico per qualcosa che, evidentemente, riteneva più importante: l’attività di volontaria nella sua parrocchia Nostra Signora di Lourdes. «Cosa non mi piace di questo periodo della mia vita? Non ho tempo di visitare gli anziani…».