Football. Star, campioni e spettacolo: il Super Bowl al tempo di Trump
Tom Brady, il quartback dei New England Patriots
Un match, una finale, semplicemente “The Big Game”, la grande partita. Dove di grande c’è praticamente tutto a partire dal giro d’affari. Secondo l’emittente Cnbc organizzare un Super Bowl costa a una città circa 5,5 milioni di dollari (tutti rimborsati da un apposito comitato della Nfl),con un indotto stimato in 300 milioni. Tanti soldi, a cui si aggiungono quelli di produzione con attori e registi presi direttamente da Hollywood e i costi sostenuti dalla Nfl per organizzare lo show collaterale con un audience possibile che supera i 100 milioni di persone.
Una delle squadre più titolate della Lega, i New England Patriots, contro una, gli Atlanta Falcons, che non hanno mai vinto un titolo. Un quarterback, Tom Brady, che cerca di entrare nella storia contro un altro Matt Ryan che prova a scrivere per la prima volta il suo nome nell’albo d’oro. Il Super Bowl, numero 51, in scena nella notte italiana tra domenica e lunedì al Nrg Stadium di Houston (diretta in chiaro su Italia 1 dalle 00.30), sarà questo, ma anche molto altro. Soprattutto fuori dal campo. Manderà in archivio una delle stagioni più complicate della storia della Nfl, che sarà ricordata per la protesta iniziata dal giocatore dei S.Francisco 49ers Colin Kaepernick contro le violenze della polizia ai danni degli afroamericani come lui. Un gesto che ha generato una “reazione a catena” in una Lega che conta circa il 70 per cento di giocatori neri. Molti l’hanno accusato di tradimento, alcuni l’hanno sostenuto come gli stessi Atlanta Falcons che prima del match contro i New Orleans Saints, altra franchigia del Sud, hanno composto insieme agli avversari un “cerchio dell’unità” o come Devin McCourty e Martellus Demond Bennett, giocatori dei Patriots che hanno alzato il pugno chiuso in occasione della prima giornata di campionato, che cadeva nel quindicesimo anniversario dell’11 settembre.
E la politica, in particolare il neo presidente Donald Trump, alle prese con i primi discussi provvedimenti, in particolare sull’immigrazione, rischiano di aleggiare sul Super Bowl e su Houston. Con i manifestanti che sono già scesi in strada contro di lui nella città texana e con Lady Gaga che secondo alcune fonti sarebbe stata diffidata dal parlare nel suo half-time show di “The Donald”, che aveva pensato di assistere alla gara (sarebbe stato il primo presidente in carica) e che è stato anche proprietario nel biennio 1984-1985 dei New Jersey Generals, franchigia della poi dissolta United States Football League. Interessi, presidenti, proteste, ma il Super Bowl è anche una partita fatta di storie, spesso di riscatto. Come quella di Mohamed Sanu, 27enne ricevitore degli Atlanta Falcons. Musulmano, nato negli Stati Uniti da una coppia originaria della Sierra Leone (suo padre era un calciatore della Nazionale), ha diviso l’infanzia tra il paese dei suoi genitori e New Brunswick in New Jersey. Lì la madre (single) per assicurare al ragazzo e alla sua famiglia (con una sorella di 13 anni più grande di Mohamed) la sopravvivenza si divideva tre lavori, pur riuscendo a mandarlo a scuola e poi alla Rutgers University. Proprio grazie al football, lo sport a cui da adolescente aveva dovuto rinunciare perché mamma Aminata non poteva pagare i 300 dollari per l’equipaggiamento. Nel prestigioso ateneo, dove ha avuto come compagno di stanza Logan Ryan, suo avversario domenica in campo a Houston, si fa notare fino al salto nella Nfl nel 2012 con i Cincinnati Bengals. Un’ascesa lenta ma costante, con l’arrivo ad Atlanta nel 2016 dove ha firmato un contratto da 32 milioni di dollari per 5 anni. Un super ingaggio che non ha fatto però dimenticare a Mohamed, volontario alle Special Olympics, la sua comunità dove ha organizzato “football camps” gratuiti e aperti a tutti.
Accanto a lui nei Falcons giocherà il gigante Vic Beasley, 190 cm per più di 100 chili, che a Houston vorrà vincere soprattutto in ricordo di papà Vic Sr. Il suo primo maestro di football e l’uomo, scomparso a causa dell’alcolismo nell’aprile 2016 che nel 1999, nell’ultimo Super Bowl dei Falcons, consolava il suo bambino, allora sette anni, per la sconfitta con Denver. A guidare loro e le altre stelle della franchigia della Georgia, Matt Ryan 31enne della Pennsylvania. Tranquillo, quasi glaciale, sopravvissuto un incidente che nel 2001 mise fine alla carriera del fratello Mick. Suo nonno materno Sam Loughery, reduce a Pearl Harbor gli ha insegnato che «il football si gioca con casco, guanto, palla ma non con la bocca». E lui, sostenitore di Obama nel 2012, l’ha preso alla lettera.
Pochissime parole e ancora zero titoli Nfl. A differenza di Tom Brady, il quarterback dei Patriots che cerca a Houston il quinto Super Bowl, come la leggenda Charles Haley. Il quasi 40enne californiano, sposato con la modella Gisele Bündchen, è un’icona di stile e considerato “vicino”, come il suo coach Bill Belichick (quest’ultimo gli ha scritto una lettera per l’elezione) a Donald Trump. Un campione di livello assoluto e bandiera dei Patriots (la sua unica franchigia professionistica) che dovrà guidare una squadra di grande talento e forza, con giocatori come Julian Edelman , il “calciatore” Stephen Gostkowski, LeGarrette Blount che quando era studente non trovò nessuno che gli offrisse una borsa di studio per lo sport o Nate Ebner, nel 2016 olimpionico per gli Stati Uniti ma nel rugby a 7. Senza dimenticare Matthew Slater. Uno che magari non appare troppo nelle statistiche ma che è considerato uno dei leader dello spogliatoio, tanto da guadagnarsi il “Bart Starr Award”, il riconoscimento che l’Nfl da agli atleti che si distinguono per leadership in campo e fuori, lo stesso avuto dal padre Frankie nel 1996. Per lui e per i Patriots vincere sarebbe scrivere la storia. Con cinque titoli in quindici anni.