Lirica. Genova ritrova il «suo» Bellini dopo due secoli. Ed è un successo
Una scena di «Bianca e Fernando», l’opera ritrovata di Bellini in cartellone a Genova
Quando Donato Renzetti abbassa la bacchetta e sfumano le ultime note della Sinfonia iniziale di Bianca e Fernando, un intenso applauso riempie la sala del teatro Carlo Felice. Un applauso quasi liberatorio. Come a dire: «Finalmente». Finalmente Genova ritrova l’opera che Vincenzo Bellini aveva scritto quasi duecento fa per la città e che aveva inaugurato il teatro in quel 7 aprile 1828. Una partitura osannata quando aveva debuttato. E poi dispersa. C’è voluta una sorta di caccia al tesoro per ritrovarla fra archivi, biblioteche e poli specialistici sparsi in Italia e in Europa. Ed eccola tornare in scena fino al 30 novembre e aprire la stagione della “rinascita” al Carlo Felice dopo i mesi bui della pandemia. Più di dieci minuti di applausi la riconsacrano, al termine della prima. Al posto dei reali sabaudi, che avevano assistito all’esordio dell’opera, i vertici istituzionali locali. Ma soprattutto un pubblico dai mille volti: il ragazzetto e l’anziano melomane, la coppia di sposi e la signora “bene”. Segno di un’attenzione condivisa alla musica che racconta la «civiltà ligure», come la definisce il sovrintendente Claudio Orazi che ha voluto l’operazione Bellini.
Una scena di «Bianca e Fernando», l’opera ritrovata di Bellini in cartellone a Genova - Teatro Carlo Felice di Genova
Battimani e sussurri d’emozione accompagnano le perle genovesi di Bianca e Fernando: l’Allegro dell’ouverture ideato da Bellini per il nuovo teatro; la cabaletta di Fernando “Ascolta, o padre, i gemiti” con quel Fa tremendo che mette alla prova il tenore e che può essere ascoltata nella sua collocazione originaria, non solo in un recital o in un cd di arie; i recitativi riemersi all’Istituto mazziniano del capoluogo ligure; il coro “Tutti siam” destinato a passare in Zaira e Norma. E poi la celebre romanza di Bianca “Sorgi, o padre” dove il genio di Bellini traspare poderoso.
Bianca (Salome Jicia) nella romanza “Sorgi, o padre” - Teatro Carlo Felice di Genova
A esaltare lo spartito è soprattutto l’orchestra del Carlo Felice: il suono che esce dalla buca è cristallino, preciso, equilibrato. Merito dei quaranta giorni dedicati alla preparazione. E merito della mano di Renzetti, conquistato dal lavoro di un talento ancora acerbo che racconta in musica il dramma dei due fratelli al centro del titolo, separati dall’usurpatore Filippo che imprigiona il loro padre Carlo, duca d’Agrigento. Una trama in cui dominano bramosia di potere e desiderio di vendetta che però vengono vinti in un finale lieto. Se sul pentagramma si vede già la grandezza dell’autore, battuta dopo battuta emerge la lezione di Rossini ben imparata dal compositore siciliano, visto che l’impronta del pesarese è fin troppo evidente e torna a più riprese.
Una scena di «Bianca e Fernando», l’opera ritrovata di Bellini in cartellone a Genova - Teatro Carlo Felice di Genova
Dalla bacchetta abruzzese di Renzetti c’era da aspettarsi qualche sfumatura in più ma non è una pecca. Ardua l’impresa per i cantanti, di fronte a una partitura così complessa. Nel cast spicca Salome Jicia, nei panni di Bianca, delicata e struggente seppur con tratti talvolta arcigni. Caloroso il tributo a Giorgio Misseri, cui spetta la parte più grave: il suo è un Fernando discreto, che convince in più punti, sicuro negli acuti e nel Fa “assassino” che gli regala meritati applausi, ma è altalenante e con qualche carenza. Da ritoccare il Filippo di Nicola Ulivieri che comunque ha una buona presenza scenica. Promosso il Carlo di Alessio Cacciamani.
Filippo (Nicola Ulivieri) in una scena di «Bianca e Fernando» - Teatro Carlo Felice di Genova
Ciò che si vede sul palcoscenico ha tutto il fascino di una produzione inaugurale. D’impatto la regia di Hugo de Ana con interessanti movimenti e trovate sceniche: su tutte il coro – ottima la sua prova – che compare lungo la linea dell’equatore di un mondo che si apre più volte durante lo spettacolo. A dominare è proprio l’elemento sferico della terra di cui però sfugge il pieno significato. Forse lo si intuisce poco prima che cali il sipario, quando Carlo, Fernando e Bianca compaiono con in mano un globo crucigero, richiamo al potere che fa da sfondo alla storia. Più che una narrazione il regista argentino propone una serie di quadri: come quello con un pianoforte devastato che prende il posto degli appartamenti della duchessa o quello dove s’impongono le frecce e un’aquila che evocano la prigione di Carlo e che si ispira al verso “Sognai cader trafitto…”. Nero e bianco sono i colori principali: il primo che rimanda alla tirannia di Filippo; l’altro alla famiglia che si ritroverà. Sorte analoga toccata agli originali di Bellini, ritrovati dopo due secoli e tornati nella Genova dove avevano visto la luce che li ha restituiti con successo al pubblico.