Storia. Studenti, profughi, monaci: è il Medioevo migrante
Frammento della Tabula Peuntigeriana, copia del XII-XIII secolo di un'antica carta romana che mostra le vie stradali dell'Impero romano
Secchioni e goliardi: così lo storico Léo Moulin nel saggio La vita degli studenti nel Medioevo (Jaca Book 1992) descriveva quei giovani che in tutt’Europa animavano le università. Dopo la nascita della prima, a Bologna nel 1088, fu un’esplosione della passione per lo studio: ci si alzava alle 5 e si ascoltavano le lezioni già al mattino presto, seduti sulla paglia, e si andava avanti sino a sera, quando si potevano scatenare i divertimenti. Basta leggere François Villon: molti studenti erano lontani dalle famiglie e si trovavano liberi, anche di far festa, e spesso nascevano conflitti e risse con gli abitanti delle città. Oltre la teologia, le materie più comuni erano filosofia, letteratura latina, logica, musica e medicina. A Bologna e Parigi, le università più frequentate fra XII e XIII secolo, si arrivava a 10.000 presenze. Un boom che coinvolse tutti gli altri studia sparsi un po’ in tutto il continente: da Cracovia a Lovanio, da Toledo a Oxford, da Uppsala a Napoli, ci fu una vera e propria escalation di amore per la cultura, che attivò un movimento di giovani da una città all’altra. E non tutti erano appartenenti a famiglie ricche: circa il 30 per cento godeva del privilegium paupertatis, grazie a cui vennero create borse di studio per i più poveri dai vescovi o dai borghesi.
“Amore scientiae facti exules”: così l’imperatore Federico Barbarossa nel suo editto Habita stabilì sotto la sua tutela gli studenti e i maestri di diritto a Bologna, perché la loro condizione di forestieri li esponeva a situazioni di pericolo. Di migrazioni studentesche e di cervelli in fuga si occupa Ermanno Orlando, docente di Storia medievale all’Università per stranieri di Siena, nel volume Medioevo migratorio pubblicato dal Mulino (pagine 310, euro 25,00), riferendosi agli scolares vagantes, che affiancavano a loro modo i clerici vagantes. Si andava a Parigi per le arti liberali, a Orléans per i classici, a Salerno per la medicina, a Toledo per la magia. «I giovani – scrive Orlando – erano disposti a vagabondare per il mondo e a far visita a tutte le città pur di soddisfare la loro curiosità intellettuale e perfezionare, nelle scuole più rinomate, la propria preparazione». Il fenomeno si attenuò solo nel tardo Trecento per la più marcata regionalizzazione degli studi.
Quello universitario è uno degli aspetti più curiosi che vengono indagati nel libro, assieme a quello religioso. Orlando sottolinea in un capitolo l’eccezionale mobilità monastica che si sviluppò all’inizio del Medioevo, di cui fu espressione la peregrinatio pro Christo, il cui scopo non era la fuga dal mondo ma l’esperienza del viaggio, come ben documenta La navigazione di san Brandano. Il monaco assumeva in pieno la condizione del migrante e, nel caso di Brandano, Patrizio e Colombano, protagonisti della grande stagione del monachesimo missionario irlandese, ci si mosse per recarsi nel continente e fondare nuovi monasteri. Ma Orlando sottolinea il loro «status permanente di forestiero e migrante, proprio di chi aveva scelto consapevolmente di vivere una intera vita da sradicato privo di patria, senza alcuna volontà di mettere radici definitive, ma sempre guardando a un nuovo viaggio e a una meta successiva». Altri casi di migrazione religiosa si sarebbero verificati nei secoli successivi, ma dovuti a forme di persecuzione, come nell’espulsione di ebrei e musulmani dalla Spagna alla fine del 1400. Una diaspora dei greci si ebbe nello stesso secolo dopo la conquista ottomana della penisola balcanica e di Costantinopoli: a migliaia attraversarono l’Adriatico su barche improvvisate per raggiungere le coste italiane, stabilendosi a Venezia e Ancona.
Qui il saggio di Orlando tocca diversi elementi della nostra attualità. La città lagunare adottò misure straordinarie di accoglienza dei migranti fuggiti dall’Albania a causa dell’invasione turca: una fiumana di profughi bussò alle sue porte per cercare ospitalità. A migliaia affollarono gli spazi della Basilica di San Marco e di Palazzo Ducale, occupando scale e portici. E la città se ne fece carico adottando provvedimenti per la loro assistenza, «sì che non vadino mendicando et stagino sinistrà et vergognosamente soto i porteghi». Vennero individuate strutture di prima accoglienza, ad esempio nei magazzini pubblici e in alcuni immobili del comune, si procedette alla loro schedatura e all’accorpamento per nucleo familiare, poi al loro assorbimento nel tessuto produttivo della città. Capitava anche che i nuovi venuti fossero ridistribuiti nei domini di terraferma o in Istria. Venne insomma messa in piedi una politica dell’immigrazione.
Vari tentativi di immigrazione regolata erano stati compiuti nei secoli precedenti, come quando attorno all’anno Mille si assistette in tutt’Europa a una crescita economica e demografica che portò a una più diffusa mobilità umana. Se da una parte quella contadina portò alla creazione di nuovi insediamenti nelle campagne, parallelamente prevalse a volte l’attrazione delle città sugli abitanti del contado. Tanto che a Bologna nel 1257 (proprio il 25 agosto) il comune promulgò il Liber paradisus, che prevedeva l’affrancamento di oltre cinquemila servi. Lo scopo era quello di ripopolare le campagne e contrastare i flussi migratori verso il centro cittadino soprattutto da parte di contadini servi. «Al centro del provvedimento – annota Orlando – non vi era la città, semmai il contado; l’obiettivo non era tanto il reclutamento di manodopera per le manifatture urbane, quanto la stabilità demografica del distretto, in modo tale da poter contare su una popolazione certa di contadini liberi produttori di derrate alimentari e soggetti a tassazione».
Come si può intuire, la lettura di questo saggio, pur facendo le debite proporzioni in termini numerici, si rivela utilissima per i governanti di oggi per far fronte a una questione così complessa come lo spostamento di popoli e persone. Anche durante le fasi più violente esaminate, come le invasioni degli ostrogoti o dei longobardi, o degli arabi in Sicilia, si verificarono col passare dei decenni e dei secoli significativi fenomeni di osmosi culturale e di innesti di civiltà.