Musica e business. Stradivari, violini muti nei caveau
Violino d'autunno
In una sala dell’Ashmolean Museum di Oxford, sigillato in una teca di cristallo, c’è un violino. È il «Messiah», il capolavoro di Antonio Stradivari. Fu donato al museo a patto che non venisse suonato mai più. Attorno a quello strumento ruota In search of the Messiah, un documentario di Tim Meara sul mondo degli antichi strumenti ad arco, un universo nascosto che si rivela essere un regno di segreti, rivalità feroci e conti bancari, in cui la voce dei violini si sente sempre meno. Il «Messiah» deve il nome al fatto che il suo padrone lo celebrava tanto quanto lo nascondeva. Era il violino «che tutti attendono e che non arriva mai». Un’attesa frustrante condivisa da Ruth Palmer, giovane e talentuosa violinista inglese, che nel film gira mezzo mondo per strappare pochi minuti di arcate sugli strumenti più belli. E capita sempre più spesso anche ad artisti blasonati di poter imbracciare violini estratti da caveaux bancari solo pochi istanti prima di un concerto.
Di comprarne uno nemmeno l’ipotesi: uno Stradivari oscilla tra un milione e i cinque milioni di euro. I Guarneri – più rari, ce ne sono solo 134 al mondo, contro i 620 Stradivari – da due milioni e mezzo fino a cinque e mezzo. Cifre da superstar dell’archetto o da oligarchi russi. «Devo ricevere in prestito un violino per essere una violinista. E significa che devo trovare una persona molto ricca che me lo conceda», dice Ruth. Un concetto ribadito da Joshua Bell: «Acquistare un violino simile a inizio carriera? Impossibile». E sì che lui lo Stradivari ce l’ha: nel 2001 ha comprato il «Gibson» 1713 per 4 milioni di dollari. Dopo aver venduto lo Stradivari «Tom Taylor» 1732 a poco più di due.
Il «Gibson» rivela a quale grado la speculazione abbia investito la liuteria antica. Quando fu rubato nei camerini della Carnegie Hall a Bronislaw Huberman nel 1936, l’assicurazione lo rifuse per 30 mila dollari. Riemerso nel 1987 fu battuto all’asta per 1,1 milioni di dollari, oggi ne vale 4. Lo Stradivari «Seymour Solomon ex Lambert» 1729, venduto da Christie’s nel 2007 per 1,5 milioni di dollari, era costato 30 mila nel 1972.
La finanza ha scoperto il violino come bene su cui investire. Un caso esemplare è quello della cordata guidata da Brook & Seth Taube che possiede ventotto strumenti, di cui dodici Stradivari e due Guarneri del Gesù, comprati in blocco nel 2007 per 20 milioni di dollari. Più vicino a noi, come spiegava due anni fa in un’intervista Francesca Peterlongo, la più importante collezionista italiana, «ci sono commercianti specializzati nella compravendita di violini: alcuni mi raccontano di aver venduto o fatto comprare uno stesso strumento quattro, cinque volte». E poi c’è la speculazione su scala globale. La Cina, come rivela il film, acquista sistematicamente liuteria antica in quantità da grossista: «Se non compri quest’anno, l’anno prossimo pagherai di più. Così ogni settimana importiamo nuovi strumenti».
Proprio perché i legni dei liutai si trasformano in lingotti, sono sempre di più i proprietari che li confinano nel silenzio. C’è però chi presta volentieri gli strumenti. La Stradivari Society di Chicago, grazie a un’attività di patronage, consegna a tempo indeterminato strumenti di prestigio a giovani artisti (ne hanno usufruito ad esempio lo stesso Bell e Gil Shaham, che poi ha comprato un suo Stradivari). In Italia c’è la Fondazione Pro Canale, quaranta strumenti affidati a musicisti come Dindo, Rizzi e Kavakos. Per il quale però, che dal 1996 possiede lo Stradivari «Falmouth» 1692, resta una «tragedia» che la maggior parte dei violinisti oggi non possa permettersi il proprio strumento d’epoca: «Chi gestisce questo business dovrebbe riflettere. Il migliore cliente per un violino è il violinista». Intanto David Fulton, cofondatore di Microsoft, li conserva nel bunker sotto la sua villa: se verrà la terza guerra mondiale, dice, i posteri potranno suonare gli Stradivari.