Vincenzo Sarno non ha mai avuto paura di tirare un calcio di rigore. Aveva 10 anni, come il suo numero di maglia, quando alla Scuola Gaetano Scirea di Secondigliano stregava compagni e avversari in partite in cui venne presto ribattezzato il “Maradonino”. Così, i mercanti di sogni del Nord si misero in fila per strappare alla concorrenza il talento di Casalnuovo di Napoli. E alla fine la spuntò il Torino. Per la cifra record di 120 milioni «mai vista una lira a casa nostra», sottolinea Vincenzo, lo depositarono nella storica accademia dei talenti granata. Ma con la giacca a vento e la tuta del Toro, Vincenzo rimase appena un mese e più che andare in campo frequentava i salotti televisivi. A
Porta a Porta fece la gioia di Bruno Vespa che invitava il «piccolo campione» a palleggiare con Batistuta e Roberto Mancini. Nella
Piazza Grande di Giancarlo Magalli, veniva sottoposto a un’intervista a tutto campo come un Del Piero in erba e con il vero “Pinturicchio” juventino ebbe l’onore di parlare in diretta con una telefonata a metà strada tra lo Zecchino d’Oro e Controcampo. Tutto questo è capitato o gli è toccato di subire al “baby Sarno” che nel frattempo è cresciuto - nonostante i 167 centimetri - , ha lasciato il clima poco rassicurante del collegio torinista, ed è tornato a casa.Poi ha ritentato l’ingresso nelle giovanili di un grande club, arrivando a Trigoria. «Alla Roma tanta gente all’inizio credeva in me, ma dopo tre anni sono dovuto andare via anche da lì». Non bastarono le schede tecniche positive di Bruno Conti a trattenere in giallorosso quell’adolescente che suo malgrado pensava e viveva già come un professionista del pallone. «Sono stati anni difficili. Per un ragazzino di quell’età stare lontano dai propri genitori e sentirsi sempre dare del “fenomeno” è stato un impatto duro da superare». Vincenzo dopo Roma riparte per Secondigliano, salvo poi rispondere ancora alle sirene del professionismo quando lo acquista la Sangiovannese (C1) del bomber partenopeo Ciccio Baiano. Il 15 gennaio 2006, da “minorenne” realizzò il suo primo gol da «vero professionista».Doveva essere l’inizio dell’ascesa del “Maradonino” del Secondigliano, un nomignolo che ormai è venuto a noia a questo ventitreenne «22 prego, ne compio 23 l’11 di marzo», che da San Giovanni Valdarno ha poi ondeggiato, tenendosi a galla in C1: al Giulianova, al Potenza e alla Pro Patria. In mezzo due presenze in B nel Brescia, portandosi sempre appiccicata addosso alla maglia che intanto cambiava colore, quell’etichetta ingombrante del “Maradonino”. «Le etichette nel calcio sono una condanna. La gente da me, si aspettava sempre qualcosa di più. E anche quando magari giocavo una buona partita non era mai abbastanza. Tanti poi hanno detto che ho un “brutto carattere” e che sono indisciplinato negli allenamenti e un po’ “pazzo” in partita. Un Cassano? Magari, fossi come Antonio, avrei risolto da un pezzo tutti i miei problemi».L’ultimo problema che ha dovuto affrontare è stata la fuga forzata dalla Pro Patria, società di Seconda divisione che ha fatto mettere in mora. «Una brutta storia. Con i miei compagni non prendevamo lo stipendio da 6 mesi. Neppure i soldi per pagare l’affitto di casa e per fare la spesa. Io poi è da un pezzo che non sono più il “baby Sarno”, vivo con mia moglie Angelica e abbiamo una bambina di un anno e mezzo, Leonela». Un omaggio, al suo idolo assoluto, Lionel Messi. L’unico, che gli fa battere il cuore quando lo vede giocare. Un modello da imitare e che vorrebbe incrociare, «almeno da avversario», adesso che la nuova vita di Sarno ricomincia da una piazza ambiziosa come la Reggina. «Un grande traguardo, specie ora che sento di avere molta più fiducia nei miei mezzi. Di quello che è successo fin qui mi prendo il 50% di responsabilità, il resto spetta a quegli allenatori e dirigenti che non mi hanno capito e aiutato. Nonostante siano più di dieci anni che il mio nome circola nel calcio professionistico, voglio ricominciare daccapo, da qui, da questa squadra e da una casa a cento metri dal mare». Quello stesso mare che bagna Napoli, dove ha tutti gli amici e gli affetti più cari. «Non sopporto il luogo comune del “calcio come riscatto per chi nasce a Napoli e in Campania”. La maggior parte dei miei amici napoletani ha un lavoro normale con regolare stipendio. La mentalità è quella che conta, non il posto dove si nasce o si vive... Io vivo da sempre di solo calcio, ma poi arrivano i problemi della vita e ti rendi conto che quelli del campo passano in secondo piano. Mi sono avvicinato alla fede e da poco ho cominciato a frequentare la chiesa. Ho sempre giocato per l’amore che provo per questo sport, ma anche per aiutare la mia famiglia. Sto bene soltanto se so che anche loro sono felici». E a casa Sarno da qualche giorno rivedono un raggio di sole che splende sopra al Granillo, lì dove Vincenzo vuole riprendersi qualche attimo di tempo perduto.«Penso solo a dimostrare quello che valgo alla Reggina, al mister Atzori e al presidente Foti. Il sogno, rimane quello di poter indossare un giorno la maglia del Napoli. Il 10 di Maradona? No quello non si tocca, Conosco la magia di Diego solo per i filmati che ho visto, ma bastano e avanzano per capire che un uomo così nel calcio è difficile che lo rivedremo...». E anche il “Maradonino” di Secondigliano è definitivamente uscito di scena, perché questo, è solo il tempo di Vincenzo Sarno.