Il calendario delle cicloturistiche storiche è ormai affollatissimo. Qualcuna prova a differenziarsi, come “I Forzati della Strada”, che si svolge a Montelparo sulle colline della provincia di Fermo, nelle Marche, ogni ultima domenica di luglio. Da un paio di anni si è trasformata in un Flash mob che si prefigge lo scopo di salvaguardare e valorizzare le poche strade bianche rimaste, un patrimonio paesaggistico che rischia di scomparire anziché essere sfruttato per una viabilità alternativa, per riscoprire il piacere di viaggiare “slow”, immersi nella natura. Un invito a riscoprire un mondo ormai dimenticato, con il suo corollario di tradizioni e di valori. Dopo il Flash mob si pedala negli 80 km del percorso per metà sbrecciato, poi l’immancabile pranzo, d’epoca anche quello con i piatti della cucina contadina. Il nome dell’evento, realizzato con la collaborazione del Comune di Montelparo, riprende la celebre definizione coniata dal giornalista francese Albert Londres nel 1924, quando appena tornato da un reportage nelle colonie penali francesi della Cayenna, venne inviato al seguito del Tour de France. Dopo qualche giorno, Londres osserva la similitudine tra le sofferenze dei condannati ai lavori forzati e quella dei corridori.
Indumenti in lana, casco e scarpini in pelle, bici d’altri tempi: sono gli ingredienti principali. Un borgo medievale e le strade bianche circostanti l’ambiente indispensabile,
location la chiamerebbero oggi, ma siccome si parla di un nostalgico salto spazio-temporale anche le parole hanno il loro peso. Sono le cicloturistiche storiche, la nuova passione che sta contagiando il mondo del ciclismo: calarsi letteralmente nei panni dei corridori del passato per effettuare un autentico viaggio nel tempo, per provare a immedesimarsi in quei campioni mai dimenticati. Al ritrovo di partenza ci si guarda intorno e si vedono maglie e bici dell’epoca di Merckx e Gimondi, molti ciclisti provano a imitare Coppi e Bartali, qualche altro si spinge ancora più indietro, al primo ventennio del secolo scorso, quando il ciclismo cominciava a scrivere la sua epica fatta di fatica e avventura. La nostalgia è la spinta propulsiva per questo viaggio alla ricerca di emozioni giovanili, di quando seguivano le cronache del Giro d’Italia alla radio o in tv. Molti provano a infilarsi quelle maglie – spesso crivellate dalle tarme – che indossavano decenni prima, quando il fisico era decisamente più asciutto, e inforcano le stesse biciclette sulle quali pedalavano quando i capelli non erano ancora bianchi. Perché in questi raduni ciclistici di “vecchio” non c’è solo il corredo, anche l’età contribuisce a rendere “storico” il gruppo. Il via all’amarcord è stato dato dai papà e dai nonni qualche anno fa; negli ultimi tempi, però, il virus si è propagato a figli e nipoti, affascinati da questo piccolo mondo antico. E, ora, il ciclismo
vintage si è trasformato in un fenomeno di moda fra i giovani, anche quelli abituati a sfrecciare in città in sella alle loro luccicanti bici a scatto fisso, che hanno riciclato buona parte del corredo e dello stile dei corridori del passato. Un fenomeno cresciuto vertiginosamente scatenando un’autentica caccia alle biciclette costruite fino alla prima metà degli anni Ottanta: è questo lo spartiacque fra l’antico e la modernità, perché in quel periodo vennero adottati i pedali a sgancio rapido – con il congegno mutuato dagli sci – che hanno mandato in pensione le vecchie gabbiette fermapiedi e dato il via alla rivoluzione tecnologica arrivata oggi al cambio elettronico senza fili
wireless. Il mezzo deve avere, rigorosamente, anche il filo dei freni che svetta sul manubrio, le leve del cambio fissate sul telaio e le ruote con i classici tubolari, quelli che poi si incrociano sulle spalle, come ai tempi di Binda o Magni, pronti da utilizzare in caso di foratura. Così, quelle bici che fino a pochi anni fa erano considerate rottami, “ferraccio” da smaltire, sono diventate improvvisamente oggetti di culto, ricercatissime. Con l’inevitabile lievitare del prezzo, anche per quei mezzi che di prezioso hanno solo l’epoca di fabbricazione e la ruggine. Un’euforia improvvisa che ha pure scatenato il collezionismo di cimeli, diventati sempre più rari. E per soddisfare le richieste di un mercato del
vintage sempre più in espansione e con materiale originale sempre più raro, alcune aziende si sono messe a produrre articoli con le stesse caratteristiche di quelli diventati introvabili, dalle maglie ai pantaloncini in lana, dalle bici in acciaio alle scarpe, fino ai berrettini. Il grosso delle compravendite si effettua attraverso un mezzo poco tradizionale come internet, pratico ma senza il fascino dei mercatini allestiti spesso in occasione di questi nostalgici cicloraduni. Sull’onda di questa nuova passione, poi, sono sbocciati anche numerosi musei dedicati al ciclismo. Tutto è cominciato sulle colline senesi alla fine degli anni ’90 con “L’Eroica”, diventata un’autentica griffe esportata in tutto il mondo. La manifestazione di Gaiole in Chianti, che ogni anno schiera alla partenza oltre 5mila ciclisti d’epoca - pochi rispetto a quelli che restano a piedi perché il paese e le strade non riescono ad accoglierne di più - è diventata una poderosa macchina commerciale e replica la formula perfino in Giappone e negli Stati Uniti. Appena cinque anni fa le cicloturistiche storiche erano meno di dieci, ora si sono moltiplicate. Abbondano denominazioni che evocano il ciclismo d’altri tempi (I Forzati della Strada, La Polverosa...), compresi i nomi dei campioni che hanno scritto la storia del ciclismo: l’ultimo arrivato è Francesco Moser, che la scorsa settimana ha inaugurato la sua personale rievocazione storica. E i vecchi corridori sono ricercatissimi per accrescere il fascino di queste pedalate, che non sempre, però, hanno l’ambiente ideale, come un borgo antico o un soddisfacente chilometraggio di strade bianche, diventate sempre più rare. Oppure il corredo di vecchie auto e moto, indispensabili per rendere più credibile la cartolina d’epoca. Il ciclismo versione
vintage è l’altra faccia dell’amore per il ciclismo domenicale. Si pedala “slow”, per il piacere di assaporare i paesaggi e le tipicità enogastronomiche, in un’ottica lontana anni luce dalla foga agonistica di chi deve realizzare performance ormai superflue oltre una certa età.